Niente zone gialle fino al 30 aprile, sulle scuole stop alle ordinanze regionali. Ecco il nuovo decreto
ROMA Nel tentativo di domarlo, ieri mattina )31 marzo) Roberto Speranza lo ha invitato al ministero della Salute per un caffé. «Matteo, non capisci? La situazione è grave, non è divertente costringere gli italiani a fare ancora sacrifici. È solo una questione di sicurezza».
Il leader leghista è rimasto sulle sue: «Capisco tutto, ma la stella polare devono essere i dati, e se i dati ci dovessero dire che è possibile introdurre la zona gialla in qualche Regione, allora mi aspetto lo facciate». In politica i compromessi servono a far dire a ciascuno dei contendenti di aver avuto ragione, e così avverrà a tarda sera, dopo il consiglio dei ministri.
La sostanza però non lascia spazio alla fantasia: il decreto approvato non prevede la reintroduzione delle zone gialle fino al 30 aprile. Se una o più Regioni dovessero raggiungere i parametri necessari, il governo valuterà se ripristinarle, caso per caso. Non c’è una data precisa, né automatismi: poco più di un impegno politico.
Fino all’ultimo momento invece la delegazione del Carroccio ha tentato di imporre – senza successo - un meccanismo che permettesse di riaprire bar e ristoranti già questo mese. In consiglio se ne è discusso parecchio, a tratti con toni accesi. Il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti, costretto suo malgrado alla linea dura imposta dal segretario, ha sottolineato quanto difficile sia la situazione per molte attività. Non solo: ha chiesto di rivedere un automatismo che c’è, ovvero quello che prevede l’ingresso in zona rossa con 250 casi settimanali ogni centomila abitanti, ma che però non tiene conto del numero dei tamponi fatti e dunque penalizza chi ne fa di più, al Nord. Su questo ha avuto il sostegno dei ministri di Forza Italia, della renziana Elena Bonetti, del numero uno delle Regioni, l’emiliano Stefano Bonaccini: i tecnici stanno cercando una soluzione. Massimo Garavaglia, a cui è toccato di riaprire il ministero del Turismo in piena pandemia, ha rincarato la dose sostenendo l’importanza di pianificare le aperture estive, soprattutto per i settori che diversamente non ripartiranno mai, come quello fieristico. Draghi ha ascoltato tutti, annuito, e infine promesso di parlarne ancora: «Ci vediamo qui una volta alla settimana, possiamo discuterne una volta alla settimana».
Al dunque il premier ha sposato la linea rigorista di Pd e Cinque Stelle, partendo da un presupposto per lui irrinunciabile: riaprire anzitutto le scuole. Una questione delicatissima, perché in nessun Paese europeo sono rimaste chiuse a lungo come in Italia, e perché alcuni governatori, temendo azioni legali, non volevano assumersi la responsabilità di farlo. Per questo durante il secondo governo Conte, molti hanno tenuto chiuso oltre il dovuto, anche quando le attività commerciali erano comunque aperte. Il decreto riporta lo Stato al centro della scena: l’articolo uno scrive che le Regioni «non possono derogare» all’obbligo di riportare i bambini in aula fino alla prima media, nemmeno in zona rossa. In consiglio c’è stata discussione anche su questo, perché una norma troppo prescrittiva avrebbe introdotto un’eccessiva rigidità: che accadrebbe se i contagi in una certa provincia dovessero improvvisamente schizzare all’insù? E così il sottosegretario Roberto Garofoli si è incaricato di modificare la norma per escludere i casi di «eccezionale gravità»: la formulazione esatta dovrebbe essere decisa stamattina. Torneranno a scuola anche seconde e terze medie, ma solo se la loro Regione è fra quelle al livello arancione. Valgono le regole precedenti l’ultimo blocco per le superiori: in arancione didattica in presenza al 50 per cento, e dove possibile fino al 75 per cento.
«Abbiamo scritto un bel decreto che guarda al futuro», ha detto Draghi alla fine del Consiglio. «Abbiamo riaperto le scuole, ripartono i concorsi pubblici bloccati dalla pandemia, abbiamo preso l’impegno di valutare allentamenti se le condizioni lo permetteranno». Nei primi giorni a Palazzo Chigi il premier si infastidiva per le intemerate pubbliche di Salvini ora – spiega un ministro che chiede l’anonimato - «ha capito che fanno parte del gioco».
Draghi era ed è convinto di dover tenere conto delle esigenze dell’economia, e per questo aveva chiesto ai tecnici di valutare l’introduzione di un meccanismo simile a quello chiesto da Lega e Forza Italia. Fra lunedì e martedì a Palazzo Chigi non si è parlato d’altro. Al dunque ha avuto la meglio la linea rigorista, ma a imporla sono stati i numeri sulla forza immutata della variante inglese e le troppe persone in terapia intensiva. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo