Inclusione e rispetto nel neologismo Netily: a Parole Ostili la “parola del futuro” unisce rete e famiglia

La prima giornata del Festival della comunicazione non ostile a Trieste: oltre 400 persone su 30 tavoli per un confronto fra diverse generazioni

Lorenzo Degrassi
I tavoli del Festival (Bruni)
I tavoli del Festival (Bruni)

Si scrive “Netily” ed è una parola che mette insieme i termini “rete” e “famiglia”. È questo il neologismo coniato nel corso della prima giornata del Festival della comunicazione non ostile, promosso da Parole O_stili, in svolgimento in questi giorni a Trieste al Generali Convention Center. Un’edizione proiettata al futuro ma con uno sguardo ancora legato al presente. Si intitola infatti “Le parole danno forma al futuro” la settima edizione dell’evento che vede quest’anno quale protagonista la generazione Z, ovvero uomini e donne nati tra la seconda metà degli anni Novanta e il 2015.

Generazione Z e Intelligenza Artificiale: il Festival Parole O_Stili mette al centro il linguaggio del futuro
Una passata edizione del festival Parole O_Stili a Trieste

I giovani, insieme ai partecipanti di altre età, sono stati suddivisi su 30 tavoli nell’ampio salone della sala convegni del Porto vecchio. Qui, all’unisono, nelle quattro ore della mattinata a loro riservate, sono stati chiamati a definire quella “parola del futuro” che possa rappresentare al contempo i valori di inclusività, rispetto e diversità.

A prendere parte a questo gigantesco brain storming oltre 400 fra studenti, dirigenti scolastici e insegnanti, ceo, manager, responsabili delle risorse umane e della comunicazione di grandi aziende, personalità delle istituzioni, del giornalismo, della comunicazione, della scienza e dell’associazionismo.

Aurora Leone a Parole Ostili: «Il linguaggio comico può farci riflettere su temi difficili»
Aurora Leone, 25 anni, volto noto dei The Jackal

Il termine creato e scelto come “parola del futuro” è quindi Netily, una parola che mette insieme i concetti di rete (net in inglese) e famiglia (family), declinandosi così nella famiglia allargata costituita dalle persone che ogni persona si sceglie, ovvero non necessariamente dei propri parenti ma anche dagli amici, i colleghi e i vicini di casa: insomma quella rete di supporto che si crea oltre la famiglia biologica.

Confuso fra le centinaia di partecipanti, giovani e meno giovani, c’era anche il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, anch’egli “costretto” a lavorare sul neologismo da produrre. «Dobbiamo pensare che anche al centro della fede cristiana c’è una parola – ha ricordato –: una parola che parla di grazia e di salvezza e mai come in questo periodo abbiamo bisogno di recuperare termini che ci aprono alla speranza e che ci consentano di tessere relazioni nelle quali ognuno di noi si riconosce come un dono l’uno per l’altro. Ecco perciò che in questo festival dove si parla di parole che danno forma al futuro è presente anche la speranza di non tradire tutto ciò che ci è stato donato da Dio, a partire dalle nostre radici».

Nel corso della giornata sono stati anche presentati i risultati della ricerca realizzata da Ipsos, Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e Parole O_Stili con il contributo di Fondazione Cariplo, sul rapporto tra giovani e fake news.

Dall’indagine emerge preoccupante la notizia che le nuove generazioni sono sempre più esposte alle notizie false che circolano in rete, in particolare sui canali social.

Quasi un giovane su tre (il 31%), infatti, mette il like su una notizia non verificata e il 7% le condivide, mentre ben il 51% ammette di utilizzare i social come canali di informazione per leggere notizie di vario interesse. «Ancora una volta emerge con forza la mancanza di consapevolezza da parte degli adulti sul fatto che virtuale è reale – ha spiegato la fondatrice di Parole O_Stili Rosy Russo –. I ragazzi si trovano spesso soli di fronte al problema delle fake news, così come in molti altri ambiti legati all’uso della rete, che viene ancora percepita come un mondo a parte, meno rilevante o impattante. Ciò che manca davvero è la consapevolezza da parte degli adulti della responsabilità ad abitare la rete, a vivere in quella cultura digitale che è propria dei nostri figli e delle nostre figlie. I dati parlano chiaro: solo un genitore su tre affronta il tema di internet in famiglia, lasciando molti ragazzi senza punti di riferimento in un contesto che invece richiederebbe guida e responsabilità condivisa».

Chi ha fatto dei giovani il proprio core business è Tiktok, presente alla settima edizione del festival di Parole O_stili con la propria head of communication Adela Leka, che ha spiegato come il target di questa piattaforma nata solo 6 anni fa sia già cambiato in così poco tempo.

«Su Tiktok sono presenti più di 21 milioni di italiani – spiega – e possiamo dire che questo social network ormai sta diventando lo specchio della società moderna. Perché su Tiktok non sono presenti più soltanto giovani e giovanissimi, ma anche adulti. Pochi sanno infatti che oggi il 67% dei nostri iscritti ha più di 25 anni».

Tiktok quindi come nuovo social intergenerazionale? «Il messaggio che ho voluto portare qua oggi – prosegue Leka – rivolgendomi soprattutto ai giovani, è che troppo spesso ci si etichetta nelle generazioni. A noi in Tiktok piace invece pensare che esiste la generazione trasversale interessata a un prodotto comune. Emblematico è il caso del canale Booktok, all’interno del quale si possono trovare booktoker di 16 anni che conversano o commentano un libro assieme a persone di 80. Perché sono gli interessi che accomunano le persone e non le età. In pratica – conclude la social manager – quello che sperimentiamo oggi a Parole O_Stili, noi su Tiktok lo vediamo quotidianamente». —

Argomenti:cronaca

Riproduzione riservata © Il Piccolo