«Nessuno paga nessuno» Protestate 2033 aziende

Lo sostiene il presidente della Camera di commercio Antonio Paoletti Nel periodo luglio-settembre il 51% delle attività con i conti in rosso

di Maddalena Rebecca

L’impennata degli insoluti bancari - in crescita del 30% rispetto a giugno -, da parte di aziende che hanno sforato il fido concesso dall’istituto di credito. Il peggioramento di sei punti percentuali dell’indicatore che registra i ritardi nei pagamenti dei clienti. Il crollo delle richieste di cancellazione dei protesti (passate dalle 69 di inizio anno ad appena 16 dello scorso mese) a seguito di estinzioni dei debiti contratti.

Bastano forse queste indicazioni fornite da Confartigianato, Camera di Commercio e Confidi per rendere l’idea delle pesantissime difficoltà finanziarie con cui sono costretti a fare i conti sempre più imprenditori triestini. Difficoltà evidenziate purtroppo anche da molti altri campanelli d’allarme. Come l’aumento esponenziale delle somme concesse in passato a titolo di garanzia dal Congafi e ora escusse dalle banche alle aziende insolventi (dai 205mila euro del 2010 si è passati ai 361mila di quest’anno). O come il rapporto trimestrale di Confcommercio secondo cui, nel periodo luglio-settembre 2011, ben il 51% delle attività non è riuscito a tenere i conti in ordine e ben il 15% del campione si è trovato nell’impossibilità di coprire tutte le spese.

Qualunque sia l’osservatorio preso in esame, il verdetto è sempre impietosamente uguale. Ogni associazione di categoria racconta di titolari di piccole e medie imprese strozzato dalla mancanza di liquidità provocata da un micidiale mix di fattori, che chiama in causa la contrazione generale dei consumi e la stretta all’erogazione del credito decisa dalle banche. «La gente acquista sempre di meno e rimanda anche le spese un tempo considerate irrinunciabili, come la sostituzione della vecchia caldaia o la riparazione dell’auto - spiega Dario Bruni, presidente di Confartigianato e Congafi Trieste -. I ricavi delle aziende quindi diminuiscono e, a ruota, si riduce anche la capacità di pagare i fornitori, a loro volta in carenza di ossigeno. Una criticità aggravata poi dalla difficoltà di ottenere prestiti dagli istituti di credito».

Le imprese, quindi, si trovano schiacciate all’interno di una sorta di circolo vizioso. «Il clima di incertezza generale fa sì che circolino sempre meno soldi. E il risultato - commenta il presidente camerale Antonio Paoletti - è che nessuno paga più nessuno. Assistiamo cioè ad una sorta di effetto domino. Le aziende sono come birilli: quando ne cade uno, a ruota cadono tutti gli altri».

L’effetto più immediato ed evidente di questo meccanismo distorto è il dilazionamento dei tempi di pagamento. «Se prima le aziende si vedevano saldare le fatture in 60-90 giorni, ora devono attendere anche 150-180 giorni - chiarisce Franco Rigutti, presidente del Confidi di Trieste -. Attese lunghissime che crescono ulteriormente se l’impresa lavora con enti e istituzioni: il pubblico, in questa fase, ha tempi di pagamento davvero biblici. In un quadro simile, quindi, per un imprenditore stare a galla diventa davvero complesso. Non a caso, come Confidi, riceviamo continuamente segnalazioni di sofferenza anche da parte di aziende che, fino a nove mesi fa, non avevano alcun problema e ora invece cercano disperatamente un extra fido a breve termine».

Visto il ritardo con cui vengono retribuiti i lavori già svolti, le aziende hanno a disposizione sempre meno liquidità. Il denaro, in molti casi, non basta nemmeno a pagare i dipendenti, figuriamoci ad estinguere debiti pregressi. Si spiega così il drastico calo delle richieste di cancellazione dei protesti bancari, monitorate dalla Camera di commercio. Si è passati dalle 69 domande di “regolarizzazione” del periodo gennaio-marzo 2011 alle appena 13 del terzo trimestre (16 al 31 ottobre scorso). Numeri piccoli piccoli che testimoniano l’impossibilità di sanare persino quelle posizioni che costringono a vedersi inseriti negli elenchi dei debitori incapaci di pagare assegni o cambiali. Elenchi, peraltro, sempre più lunghi: al 31 ottobre 2011 le aziende triestine protestate erano 2033, dato già superiore a quello dei 12 mesi completi del 2010 (1962) e del 2009 (2013).

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo