«Nessun referendum sulle trivellazioni»

Petrolio in Adriatico, da Zagabria il ministro dell’Energia gela gli ambientalisti. Ma i sondaggi danno in crescita il fronte del no
Trivellazioni in Adriatico
Trivellazioni in Adriatico

ZAGABRIA. «Non ci sarà nessun referendum, questo è il mio messaggio per gli investitori». L’ultima dichiarazione del ministro dell’Energia croato, Ivan Vrdoljak, suona come una provocazione nel campo degli ambientalisti. Dopo l’apertura del primo ministro Zoran Milanovi„, che a inizio marzo aveva annunciato una consultazione popolare sulle trivellazioni in Adriatico, l’iniziativa pare definitivamente annullata. Intervistato dal quotidiano Vecernji List, Vrdoljak sostiene di non temere un voto sulla questione petrolifera, anzi «più informazioni diamo al riguardo, maggiore sarà il sostegno ai piani del governo». Ma per non innervosire le cinque compagnie che aspettano solo la firma dei contratti di esplorazione - lascia intendere il ministro - è molto meglio non andare alle urne.

Secondo l’ultimo sondaggio sul tema, da poco pubblicato dalla tv Rtl, 3 croati su 4 desiderano votare prima che sia dato il via all’avventura petrolifera. Inoltre i cittadini che si dicono convinti dagli argomenti dell’esecutivo sono sempre meno numerosi. Nell’ottobre 2014, uno studio dell’agenzia Ipsos Puls indicava che più del 60% degli intervistati era a favore dello sfruttamento commerciale delle risorse dell’Adriatico. Oggi solo il 40% resta dello stesso avviso. Al contrario, i detrattori sono saliti dal 29 a oltre il 45% (e in Dalmazia e nel Quarnero si arriva fino al 60%). Senza sorprese, la ragione prima del no crescente è la paura che la corsa all’oro nero scoraggi il turismo. Insomma, se si votasse ora la Croazia potrebbe decidere di abbandonare il sogno di diventare «una piccola Norvegia», come disse Vrdoljak un anno fa. E gli ecologisti lo sanno: «Se il governo non manterrà la promessa di indire un referendum, organizzeremo una raccolta di firme per imporre la consultazione popolare», hanno dichiarato gli attivisti del fronte “Sos per l’Adriatico”.

In realtà, stando alla legislazione croata in materia, la società civile può esigere dal governo solo un referendum consultivo, poiché l’oggetto del voto (l’energia) è una priorità nazionale. Per riuscirci inoltre i promotori della consultazione devono raccogliere oltre 400mila firme - il 10% degli elettori del paese - in meno di due settimane. Missione non semplice, che richiederà la formazione di un’ampia coalizione di detrattori.

Per ora il panorama politico è diviso sul tema. I socialdemocratici (Sdp) del primo ministro Milanovi„ sono formalmente in favore, così come il Partito popolare croato (Hns) di cui fa parte il ministro Vrdoljak. Ma le elezioni legislative si avvicinano e portare avanti un progetto impopolare potrebbe favorire l’opposizione. L’Unione democratica croata (Hdz) di Tomislav Karamarko sembra infatti assecondare l’opinione pubblica, definendo l’iniziativa del governo «un’avventura pericolosa». Contrari senza se e senza ma invece i Verdi (Orah) e il movimento Zivi Zid, che però hanno un peso elettorale decisamente minore. E l’esecutivo ha fretta di chiudere il capitolo petrolio: secondo il ministero dell’Energia, i contratti con le imprese vincitrici del bando (tra cui Eni) saranno firmati entro giugno. Oltre quella data, un voto popolare sul petrolio non avrà più alcun valore.

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