Neonato morì dopo 9 giorni: medici condannati
Nessun applauso, solo lacrime e abbracci a mamma Anna e a papà Stefano per cercare di colmare, almeno per un attimo, quel vuoto incolmabile lasciato da Simone.
Alle 14 di ieri il Tribunale di Gorizia ha vissuto un momento struggente: il pronunciamento della sentenza di condanna per omicidio colposo a carico di due medici dell’ex Punto nascita di Gorizia, Daniele Domini e Luigi Caserta. La giudice Rossella Miele ha condannato Domini a un anno di reclusione, Caserta a sei mesi. La pratica di risarcimento danni è demandata al procedimento civile. Pena accessoria il pagamento di 14.400 euro per parte delle spese processuali.
La pm Valentina Bossi aveva chiesto un anno di reclusione per entrambi. Un’indagine e un processo lunghi e complessi per accertare la responsabilità del decesso, ad appena nove giorni di vita, di Simone Ceretta, primogenito dell’assessore comunale di Gorizia e della signora Anna Culot. Simone era nato in stato di grave sofferenza; a nulla era valso l’immediato trasporto al Burlo Garofolo di Trieste. I fatti risalgono ai primi giorni di ottobre del 2008, appena ieri al sentenza.
In mezzo lo strazio dei genitori e degli imputati e tanto lavoro.
Durante il prolungato dibattimento le parti hanno coinvolto almeno una decina di periti e di superperiti. Non è stato facile orientarsi tra i diversi e contrapposti pareri dei professionisti.
Gli esperti nominati dall’accusa e dalla parte lesa avevano dichiarato che Simone “avrebbe potuto salvarsi se l’equipe medica avesse deciso di eseguire prima il taglio cesareo. Il neonato è morto a causa della prolungata mancanza di ossigeno”. Ipossia nel lessico scientifico.
Secondo le difese invece (avvocato Cattarini per Caserta, avvocati Sanzin e Pellegrini per Domini) Simone era sofferente al cuore e non era possibile fare nulla. Così l’avvocato Sanzin ha meglio precisato ieri, dopo la sentenza e annunciando appello, la tesi sostenuta dalla difesa: «La gravidanza e il travaglio della signora Anna sono stati regolari. Non c’erano indicatori per attrezzare la sala operatoria per il cesareo. Ma alle 20.10 la situazione è improvvisamente precipitata: è stata riscontrata al piccolo una forma di bradicardia. Per allestire la sala operatoria, da protocollo, servivano almeno 39 minuti. I nostri periti hanno affermato che a fronte di una patologia come quella di Simone era un tempo troppo lungo per evitare conseguenze».
La giudice Miele al termine della discussione finale si è riservata appena mezz’ora di camera di consiglio poi salita a un’ora.
Entro trenta giorni il deposito della motivazione della sentenza.
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