Neonati scomparsi, l’Europa chiede chiarezza a Belgrado

Centinaia spariti in ospedale tra gli anni ’70 e ’90: alle madri si diceva che erano morti

BELGRADO. Per le famiglie coinvolte è un dramma che probabilmente non avrà mai fine. Per lo Stato un problema non ancora adeguatamente affrontato, né per quanto riguarda le indagini, né per i risarcimenti. Ma le cose devono cambiare, quanto prima. Devono cambiare, in Serbia, sul fronte dell’inquietante problema di centinaia di neonati - ma alcune stime parlano di almeno 1.500 - che sarebbero scomparsi dagli ospedali serbi tra gli Anni Settanta e i Novanta. Scomparsi perché morti alla nascita, senza che il loro corpo fosse mostrato alle madri e senza che le procedure di registrazione del decesso fossero correttamente eseguite. Oppure sottratti alle madri da medici e infermieri compiacenti, per poi essere dati illegalmente in adozione o venduti all’estero: è questo il terribile sospetto di tante mamme, ancor oggi.

E sul caso, che da anni tiene banco ed è sentitissimo nel Paese, continua a vigilare il Consiglio d’Europa (Coe), organizzazione internazionale storicamente impegnata nella difesa dei diritti umani. Coe il cui Comitato dei ministri, importante organo decisionale che monitora il rispetto delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha lanciato ieri un duro avvertimento a Belgrado, chiedendo che «con urgenza» venga fatta approvare una legge - attesa da tre anni e ancora in bozza - che dovrebbe consentire di «creare un meccanismo» che consenta di risarcire i genitori dei bambini svaniti nel nulla. E che magari getti le basi per indagini più serie sulla questione. Nel prendere una «risoluzione a interim» sul caso, pubblicata ieri, il Coe ha stabilito che «il processo legislativo» in Serbia «venga concluso con la più alta priorità», soprattutto tenendo conto del numero di famiglie potenzialmente coinvolte.

Una posizione chiara, quella del Consiglio, che ha spinto ieri il ministero della Giustizia serbo a precisare che il governo varerà quanto prima la legge, in standby anche a causa del cambio di vertice nell’esecutivo, con il passaggio di consegne tra Vučić e Brnabić. Il ministero «continuerà a fare, come in precedenza, tutto il possibile perché i genitori che sospettano che i propri figli siano scomparsi» dagli ospedali «conoscano la verità». Non sono pochi. «Migliaia di famiglie serbe si battono e bussano alle porte di chi è al potere per sapere cosa è successo ai propri figli», è il motto di una delle associazioni che riuniscono madri e padri dei «nestalih beba». «Non bisogna mai arrendersi, una madre ha riabbracciato suo figlio, che pensava morto, 41 anni dopo», ha assicurato in passato l’altra influente organizzazione che si batte per la verità, Kradja Beba, ricordando il caso di Travis Tolliver, sottratto alla madre dopo il parto, in Cile, nel 1973.

I medici le annunciarono che il bambino era «morto per un problema cardiaco». Non era vero. E così pensano siano andate le cose in Serbia altre decine e decine di famiglie, che si dicono certe che i loro figli siano stati «rubati e venduti» a genitori stranieri senza figli, ma con ricco portafoglio. Lo aveva suggerito la stampa locale già nel 2002, quando si parlò apertamente di «baby mafia». Rimane possibile anche un’altra lettura, quella della malasanità. I neonati sarebbero effettivamente morti dopo il parto, ma il loro corpo mai consegnato alle puerpere, invecchiate nel dubbio che il loro figlio non fosse deceduto. Ma vivo in qualche altra parte del mondo.
 

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