Neonati scomparsi in Serbia: «Non dateci soldi vogliamo la verità»

BELGRADO. Non vogliono pietà, rigettano l’ipotesi risarcimenti. Chiedono invece di sapere con certezza che ne è stato dei loro figli, neonati venuti alla luce negli ospedali pubblici in Serbia tra gli Anni Settanta e i Novanta e subito dichiarati morti dalle autorità. Ma i loro corpi non furono mai mostrati ai genitori inconsolabili. Che ancora oggi sperano in cuor loro che i loro figli possano essere vivi, da qualche parte in Europa, magari dopo essere stati adottati illegalmente. Genitori che sono quelli delle “nestale bebe”, i neonati che sarebbero scomparsi dagli ospedali serbi decenni fa, un caso che ha fatto scalpore portando cinque anni fa anche a una condanna della Serbia (caso Zorica Jovanovic) da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito che Belgrado non ha finora fatto alcunché per rispondere ai dubbi dei genitori e indagare sul fenomeno.
Genitori che sono da settimane sul piede di guerra, organizzano proteste a Belgrado davanti alla sede del governo serbo. La rabbia nasce da una proposta di legge che dovrebbe chiarire appunto il fenomeno dei neonati scomparsi come richiesto da Strasburgo, ma che ha fatto andare su tutte le furie tanti genitori. Decine sono quelli scesi in piazza in due occasioni ad aprile e a maggio e lo faranno di nuovo. «Chiediamo che la legge venga ritirata», spiega Mirjana Novokmet, una delle anime della protesta, perché lo Stato vorrebbe «solo formalmente soddisfare» quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo – un’inchiesta omnicomprensiva sul fenomeno dei neonati scomparsi – puntando invece più su risarcimenti. Risarcimenti come quello ordinati da una prima, storica sentenza di un tribunale serbo a marzo, confermata nei giorni scorsi da 10 mila euro, a favore di Bogdan Janjić, uno dei genitori dei bimbi scomparsi. Ma non tutti vogliono soldi, la maggior parte dei genitori chiedono verità, vogliono capire finalmente quale sia stato il destino dei figli, perché ritengono che i neonati siano stati vittime di un sistema criminale complesso e organizzato. L’unica cosa certa, spiega Novokmet – che diede alla luce un piccolo “sparito” nel gennaio del 1978 – è che «tutte abbiamo partorito in ospedali pubblici» un figlio o una figlia dichiarati morti e che a tutti i genitori è stato negato di vedere il corpo. «I corpi dei nostri figli non ci sono», è stato confermato dalle agenzie di pompe funebri e dai responsabili dei servizi cimiteriali, è questa la «chiave di tutta questa storia». Perciò «chiediamo allo Stato dove sono i nostri figli». Sono in tanti a porre questa domanda alle autorità, in Serbia. Secondo Novokmet, ufficialmente sono oltre 1.300 i genitori» che non hanno ricevuto prove su dove siano stati seppelliti i loro neonati e che hanno presentato denuncia. Ma «posso dire che in realtà si tratta di un numero doppio» di casi.
Casi che non riguardano solo la Serbia, ma «ne abbiamo di sporadici anche in Croazia, in Bosnia, Montenegro e molti in Macedonia». Quale potrebbe essere stato il loro destino? «Penso che molti bambini siano finiti in Paesi europei attraverso adozioni illegali», oppure che siano stati usati per «fini scientifici» da ricercatori senza scrupoli e che tutto sia stato organizzato da un «gruppo criminale qui in Serbia», implicati «medici, infermieri, impiegati dell’anagrafe», la dura denuncia di Novokmet. Che aggiunge poi che nella maggior parte dei casi di neonati scomparsi si sarebbe visto un “pattern” simile.
Nel 1978 «ho avuto una gravidanza perfetta, ho partorito col cesareo e al mattino i medici mi hanno detto che il neonato è nato morto. Mio marito ha chiesto di vederlo ma non gli è stato permesso». Lo stesso è accaduto negli altri casi.
«Vogliamo sapere la verità su dove sono i nostri figli – ribadisce Novokmet – non ricevere 10mila euro, come se i nostri figli venissero venduti di nuovo». «Bisogna ascoltare i genitori, capire il loro dolore», ha affermato da parte sua Meho Omerović, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani. E soddisfare «qualunque essa sia il loro desiderio di verità».
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