Nello Laezza: «Continuo: ho 47 anni e il fuoco del basket»

TRIESTE «Sento ancora quel fuoco dentro me. Non mi fermo. Non lo farò, non me la sento. Se uno alla mia età si diverte ancora a giocare ha senso che continui a farlo. Con la Goriziana in serie D ho dimostrato di poter restare sul parquet per 30 minuti, i miei 15-16 punti a partita li segno ancora e non mi piace l’idea di smettere dopo una stagione finita in questo modo, anzitempo». Il 14 aprile Nello Laezza compirà 47 anni.

Ne aveva 26 anni quando era il play titolare nella promozione della Trieste targata Lineltex in A1. Erano i tempi in cui un imprenditore statunitense, Frank Garza, sbarcò a Trieste per approfittare della cablatura della città e fare del PalaTrieste in cantiere un impianto ipertecnologico. E già che c’era voleva espandere il progetto allo stadio e a un’intera cittadella sportiva a Valmaura. Finì con lui che, come un Mehmeti ante litteram, annunciava ciclicamente ritorni a Trieste con il carnet degli assegni ricco ma le promesse non si accompagnavano mai ai fatti. Una società drammaticamente sul filo. Una squadra, in compenso, solida e affidata alla saggezza di Cesare Pancotto.

Laezza, che per simpatia e positività è un ottimo testimonial della napoletanità, a Trieste c’era già dal 1996. Era arrivato con l’etichetta del tuttofare. Play, guardia, addirittura ala piccola in un quintetto corto ma veloce. Nello il guastatore. Gli anni di Laezza. Ma anche gli anni di Ivica Maric. Per il popolo di Chiarbola semplicemente Ivo–Ivo. Sguardo ispirato e spiritato che neanche Totò Schillaci nelle sue notti magiche. MARIC Ma nel giorno più bello la coppia è scoppiata. Rivali. Uno contro l’altro.
«L’anno prima, nella A2 1997-98, eravamo fortissimi. Io e Ivo insieme, un bel gruppo italiano e un signor lungo come Irving Thomas. Se quest ultimo non si fosse infortunato sostituito da un tipo buono ma fuori ruolo come O’Bannon non avremmo mai fallito la promozione. Mi arrabbio ancora adesso ripensando a una fischiata dell’arbitro Pallonetto nell’ultima giornata che ci costò il primo posto nella regular season. Finimmo la stagione regolare secondi beccandoci nel tabellone dei play-off in finale Gorizia, terza. E quella era la Gorizia di Cambridge, Gray, Tonut, Riva, Mian, Sidney Johnson. Toppammo una gara casalinga. Segnai 19 punti davanti a mia madre ma non bastarono. Al PalaBigot che emozione vedere una bella parte del palasport riempita dai nostri tifosi. Andò in A1 Gorizia. Noi restammo al piano di sotto». Altra stagione. Cambia tutto. Arrivano i padroni americani. Altro marchio, da Genertel a Lineltex. Altri stranieri. Maric se ne va a Livorno. Il play titolare al posto del croato dovrebbe essere il cambio regista al Real Madrid. Si chiama Pablo Laso. Anni dopo avrebbe vinto l’Eurolega da coach dei blancos ma da giocatore a Trieste si rivela un flop. Pancotto affida la squadra a Laezza, con in alternativa - a stagione in corso - Jovanovic che di nome fa un impronunciabile Srdjan e infatti viene triestinizzato nel “mulo Sergio”.
«All’inizio non godevamo di molto credito. Ma noi italiani sapevamo di essere un gran bel gruppo. Vianini, Ansaloni, Semprini erano giocatori carismatici e ragazzi intelligenti e si era aggiunto Bullara. Gli stranieri erano Michael Williams, ottimo Usa, e Teo Alibegovic». Per chi non avesse vissuto quella stagione, va ricordato che Alibegovic era il cognato del proprietario del club. «Non era semplice gestire quel compito ma lui riusciva a lasciare i problemi fuori dal parquet e giocava con la nostra stessa intensità. Aveva un solo limite: un ego “leggermente” sviluppato. Lo ribattezzammo SuperIo. Un giorno per farci una risata alle sue spalle ci troviamo in quattro in spogliatoio. Io, il massaggiatore Bussani, Ansaloni e un altro, credo Semprini. “Buss” fa finta di essere tutto preso a massaggiarmi, si affaccia Alibegovic. “Teo, Teo, ma secondo te quali sono stati i 5 giocatori più forti nella storia dell’ex Jugoslavia?”. E lui tutto serio attacca. “Radja”. Ci mancherebbe. “Kukoc”. Sicuramente. “Drazen Petrovic”. E come no, il Mozart dei canestri. A questo punto uno si aspetterebbe Cosic, Divac, Dalipagic, Delibasic, Kicanovic, Korac. E lui, invece, tutto serio: “Beh, e poi ci sono io”. Esplode il nostro coro: “SuperIo, ma vaffa...”».
EL COCAL
La finale per la promozione in A1 (Montecatini c’è già salita) quell’anno è tra Trieste e Livorno. I toscani di Luca Banchi sono una gran bella squadra. Gigena, Santarossa, Podestà. E Ivo-Ivo. Che duello. I “gemelli” sdoppiati. Laezza contro Maric. «Ricordo con affetto il Palasport di Chiarbola. Che soddisfazione incitare il pubblico e sentirlo rispondere battendo i piedi. Un boato. Non era scontato che vincessimo quella serie. Per me quella resterà la finale dei “cocai”. Facemmo questa maglietta, “Con i kokai non te perdi mai”. Durante il riscaldamento qualcuno mi suggerì di andare a metà campo su una gamba sola e di imitare il verso del gabbiano. Lo feci. Ma in mezzo a quel casino nessuno lo sentì...» L’A1 che venne regalò illusioni («Esordìì con quattro partite a razzo») e dolori («Un infortunio a un ginocchio. Bissato l’anno dopo»). Poi altre avventure, altre città. Il ritorno alla PallTrieste nel 2005. Le minors in regione. L’incarico nelle giovanili della Sgt. E nel prossimo autunno ancora in campo da giocatore. Il cocal Nello vola ancora alto. —
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