Nella manovra Tria stangata triennale da 2,4 miliardi per le casse del Fvg
TRIESTE L’Europa vigila, la manovra balla, si deciderà tutto tra Natale e Capodanno. Ma il moloch da 2,4 miliardi che rischia di pesare sulle casse del Friuli Venezia Giulia per i prossimi tre anni rimane scritto nero su bianco nel disegno di legge nazionale a firma Giovanni Tria. È l’allegato 8, in coda a 500 pagine di bilancio statale in prospettiva 2019, a spaventare la Regione. L’obiettivo, che coinvolge tutte le autonomie (per 7,3 miliardi complessivi nel triennio), rimane il «necessario concorso al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica», così si legge nel testo. Il dettaglio è di 716 milioni che il Fvg è chiamato girare a Roma il prossimo anno, di 836 nel 2020 e di altri 836 nel 2021. Per un totale di 2.388 milioni.
Nemmeno un centesimo in meno, dunque, rispetto a quanto si temeva. Ufficializzando l’entità del contributo delle Regioni autonome alla riduzione del debito statale, la Finanziaria conferma la linea tracciata dal patto Padoan-Serracchiani, quello che modificò la precedente intesa Tondo-Tremonti. Per il prossimo anno c’è lo “sconto” dei 120 milioni concordato da Regione e governo a traino centrosinistra, ma dal 2020, e per l’anno successivo, la quota da versare sarà intera.
Nulla di definitivo, ma si tratterà di ridiscutere il dossier entro il 31 marzo del prossimo anno, così detta il ddl. E, in una situazione per ora di incertezza, l’opposizione non trattiene le critiche rispetto a un quadro al momento preoccupante.
Dopo che già qualche settimana fa Salvatore Spitaleri, ex segretario regionale del Pd, aveva ironizzato sul «governo amico che chiede quasi 2,4 miliardi al Fvg» e su un governo regionale «fermo alle formule della campagna elettorale, con i famosi 800 milioni di cui siamo caricati che aspettano di essere tagliati», il deputato Ettore Rosato parla di «finanziaria che non c’è», ma di una tabella «che prevede invece in maniera dettagliata la cancellazione sul 2020 e sul 2021 dei 120 milioni in meno che con la nostra trattativa avevamo saputo portare a casa. Il centrodestra, che ci aveva accusato di aver fatto troppo poco, non è riuscito a confermare quello stato di cose. Speriamo non arrivino davvero altre brutte sorprese da una manovra che contiene ben poche iniziative a supporto del territorio».
A Spitaleri ha già risposto a stretto giro Barbara Zilli. L’assessore alle Finanze, ribattendo all’attacco dem, ha precisato che i numeri della finanziaria nazionale saranno applicati solo nel caso in cui non ci sia accordo con Roma entro fine marzo. La giunta, parole dell’assessore leghista, «sta lavorando alacremente per ottenere il risultato. Con il ministro Tria vogliamo stipulare un patto definitivo. Tra l’altro - prosegue - il Friuli Venezia Giulia ha già ottenuto uno sconto da 200 milioni: le precedenti finanziarie chiedevano infatti la compartecipazione alla spesa sanitaria nazionale per il 2017 e 2018 ma il governo ci ha risparmiato questa somma».
Quanto alla trattativa sul patto finanziario, il momento è delicato e, a sentire l’esecutivo, si preferisce non dare nulla per scontato. «Puntiamo a un’intesa strutturale che riconosce concretamente la nostra autonomia al di là delle cifre contingenti», dice ancora Zilli senza entrare nel merito delle modalità. Le prossime settimane saranno dunque decisive. Incontri romani ce ne sono stati e altri ce ne saranno, ma il percorso va costruito.
L’intenzione, a quanto trapelato, è di ridiscutere il sistema di compartecipazioni e lavorare soprattutto all’aumento dei decimi che il Friuli Venezia Giulia può vantare sull’Iva pagata nel proprio territorio, alzando dunque gli attuali 5,91, frutto dell’accordo con cui la giunta Serracchiani aveva accettato di scendere dai 9,1 decimi dell’epoca in cambio di un ampliamento della platea dei tributi su cui calcolare le compartecipazioni.
Tra le ipotesi, la giunta Fedriga potrebbe incalzare Roma per ritornare alle quote pregresse, anche perché le previsioni parlano di introiti Iva destinati a salire. E c’è poi in agenda la volontà di seguire il modello delle autonomie più estese, quelle delle Province di Trento e Bolzano, nei cui statuti viene precisata le soglia massima delle risorse da versare allo Stato. —
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