Nella grotta impossibile vince Trieste

L’intervento di soccorso in Baviera raccontato dagli speleologi alabardati chiamati a salvare un collega tedesco rimasto ferito a mille metri di profondità. E all’uscita dall’abisso c’è chi giura: «Impareremo l’italiano»

TRIESTE. «Il minimo che possiamo fare, a questo punto, per esprimervi il nostro apprezzamento, è imparare l’italiano!». Si condensa al meglio in questa battuta, l’alto apprezzamento per il lavoro svolto dai 29 speleologi del Cnsas (Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico) provienenti dal Friuli Venezia Giulia (su un totale di 109 italiani), dei quali ben 20 della stazione del soccorso speleologico di Trieste. Decisivi nell’operazione di recupero dello speleologo tedesco Johann Westerhauser, 52 anni, vittima di un grave incidente alla profondità di -1050 m nella grotta Riesending-Schachthöhle, che si apre nel Berchtesgadener Land in Germania, a sud est della Baviera, vicino all’Austria. Un incidente che ha costretto lo sfortunato amante delle profondità a rimanere sottoterra 275 ore, pari a oltre 11 giorni. Johann Westhauser, nella caduta aveva riportati gravi ferite alla testa, ed era rimasto impossibilitato a muoversi a oltre a mille metri di profondità. I soccorritori hanno riportato Westhauser in superficie su una barella attraversando il labirinto di cunicoli.

E qui entrano in ballo i triestini, che sono stati i primi, detto per inciso, ad arrivare con personale medico sul ferito, avendo con sé un paramedico ed accompagnando un medico austriaco che era in attesa a 700 metri di profondità, dopo che austriaci, svizzeri, tedeschi e croati avevano già alzato bandiera bianca e l’intero gruppo dei 220 soccorritori internazionali era in grossa difficoltà. Altresì, vista l’enorme complessità delle operazioni di recupero, l’organizzazione tedesca ha delegato la gestione operativa delle operazioni ad un team composto da svizzeri, austriaci e italiani, tra i quali il delegato del Friuli Venezia Giulia, Roberto Antonini, che ha gestito per il Cnsas nazionale il coordinamento delle operazioni.

La preparazione tecnica dei triestini e di tutti i tecnici della regione, non è casuale e si è rivelata determinante. La storia secolare degli speleologi locali (in fondo il carsismo è nato qui), la presenza di oltre duemila grotte nella nostra area costituiscono già una “palestra” che non è da tutti. Ma la causa scatenante di tanto impegno è maturata dalla consapevolezza che un giorno si sarebbe potuto riproporre un intervento come quello che 24 anni fa aveva fatto la storia degli incidenti in profondità, accaduto all’abisso “Veliko Sbrego” in Slovenia, che presentava strette analogie per la complessità e la profondità della grotta.

Come racconta il Cnsas, i tecnici regionali hanno lavorato ciascuno per diverse decine di ore senza interruzione e senza risparmiare le proprie energie movimentando la speciale barella col ferito in tutti i tratti profondi e pericolosi della grotta, stendendo le linee telefoniche per le comunicazioni interno-esterno grotta, mettendo in opera nuove corde di progressione e bonificando parti pericolose della cavità. Sorprendendo dichiaratamente i pur scafati colleghi stranieri, all’inizio un po’ perplessi per l’arrivo della task-force ma poi i primi ad ammettere che certe tecniche si sono rivelate determinanti per il recupero in sicurezza dello speleologo.

A quanto si è appreso un contributo determinante alla sopravvivenza del ferito è stato dato da tutti i tecnici coinvolti nell’accudire l’infortunato e dai 5 medici e 3 paramedici del Cnsas – tutti esperti in soccorso medicalizzato in ambiente ostile. I membri dell’equipe della Commissione Medica del Cnsas, come detto, sono stati i primi a raggiungere ed a medicalizzare il ferito ed a seguirlo per tutto il percorso di evacuazione fino a pochi metri dall’uscita, con la barella sospesa nel vuoto a recuperare metro dopo metro.

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