Nel sacrario di Oslavia la memoria violata dal volo dei piccioni

GORIZIA «Sempre dritto, poi al secondo semaforo girate a sinistra e proseguite per il viale alberato. Non potete sbagliare». A Gorizia non c'è praticamente nessuno che non sappia dove sia il sacrario di Oslavia. Ponte di Piuma sull'Isonzo verdeacqua. Oche in balìa della corrente. Salita verso un parco e poi sacrario. Altre scale bianche, verso la cima. Il sole acceca la vista sul monumento. «Il valore del sacrificio sanguinoso posto alla base del patto permanente stretto fra gli italiani, è esaltato dalla vera e propria politica degli ossari» scrive Bruno Tobia in "Dal Milite ignoto al nazionalismo monumentale fascista". Entrando ci si rende conto che forse quel patto non esiste più. Oslavia ha notevoli problemi di manutenzione. Forse non ci sono abbastanza soldi per tenerlo a posto. Il disappunto sul libro dei visitatori c'è ed eccome. Campeggia in molte pagine un grido di vergogna. “Attenzione pericolo caduta materiali dall'alto", cartello all'entrata. Volo radente di piccioni e tetto sfondato in più punti. La stessa sensazione l'ho avuta al cimitero di Trento. Per la cattiva gestione della res publica dovrebbe venir creato il reato d'incuria, da ascrivere ai responsabili. Rispondere di fronte alla legge, di fronte alla comunità. Rispondere di fronte a chi qui diede la vita.

Dal torrione di destra studiamo il percorso verso il monte Sabotino. Le stradine campestri scorrono a valle, lungo secche colline a vigneti. Facciamo qualche foto. Il territorio si fa stretto, fazzoletto dove contar i passi. Pastori tedeschi a far la guardia a gruppi di case ci guardano passare. Una lambretta è abbandonata in un campo. Chiesa di Borgo San Mauro. Pittura della facciata parzialmente scrostata. Una signora passa a piedi e ci saluta.
Il Sabotino lo valutiamo male. O meglio, lo sottovalutiamo. Dal sentiero che porta in cima dalla parte italiana subito dopo San Mauro, questo monte sembra non far paura più di tanto. In effetti, la cima supera di poco i 600 metri. Poi, passo dopo passo, ti rendi conto che questo monte, conquistato dal 78° Reggimento di Fanteria "Lupi di Toscana" il 6 agosto del 1916, ti frena. Sentieri di roccia, pietre taglienti, qualche corda di metallo, una pietraia rovente, paradiso delle vipere. Una coppia ci sorpassa. Piano inclinato di calcare. La salita ci fa sudare. Poi, prima della cima, prati ancora acerbi. Poiane volteggiano sopra la nostra testa. Dalle memorie di un ufficiale dei Lupi pubblicate in "La Guerra italiana" redatta già nel settembre del 1916 da Enrico Mercatali e Guido Vicenzoni: "Pare che il Sabotino si trasformi in un vulcano ardente che getti fumo e fiamme: da ogni parte passano sulle nostre teste i proiettili dei cannoni nostri".
Ruderi dell'eremo di San Valentino. Prime indicazioni sul conflitto. Venne abbandonato dopo la riforma di Giuseppe d'Asburgo che chiuse quasi quattrocento monasteri e luoghi di culto in tutto l'Impero nel 1781. Signora di mezza età che prende il sole. La vista sulla valle dell'Isonzo si tinge di verde, azzurro e riflessi di grigio chiaro. Versante orientale del Sabotino. Vento forte. Vista sulla montagna sacra, Sveta Gora dall'altra parte, verso la valle della So›a. Gruppi di escursionisti conquistano la vetta. L'ufficiale Costa scrive ancora così: "Il 78° Fanteria passa oltre, si butta giù sul rovescio del Sabotino, alle spalle di chi fugge giunge alle estreme pendici del monte che danno sulla riva destra dell'Isonzo".
Tempo di una giravolta sul panorama ed è già ora di rotolare verso Salcano. Discesa impegnativa. Scarponi che s'incollano sulla pietra. Scendere o salire non sono la stessa cosa, su questo monte. Uscita nei pressi di una curva della strada che porta a Dobrovo. Alcune macchine ci guardano, sembrano ridere di noi. Niente di nuovo. Un uomo poi attraversa sul lato destro il ponte nuovo, mentre plotoni di canoisti risalgono il fiume. Dentro alle gostilne di Salcano si possono ancora ascoltare le storie legate Rudolf Jaussner, il progettista che con una pistola puntata alla tempia inaugurò il ponte nel 1906. Prassi del tempo. Uomini coraggiosi, forse di quelli che non ci son più. Piazza di Salcano. Sentiero dietro la chiesa. Un signore con nipotina ci accompagna. Passaggio a nord della cava. Corriamo in costa. Signore slovene che non parlano inglese. Il sole sta gradualmente scendendo sull'orizzonte. Dolce saliscendi. L'ultimo tratto fino alla basilica è una corsa contro il tempo. A sinistra comincia la Bainsizza. Due persone puntano i bastoncini a terra. Il tramonto in cima al Monte Santo come una mappa geografica costruita da nord verso sud, a volo d'uccello sul litorale adriatico, da Grado a Punta Salvore, da Gradisca fino a Marano. Qualcuno potrebbe dire che nelle giornate di bel tempo, s'intravede Venezia. Forse. In cima c'è anche un ristorante e una birreria, aperti da maggio in poi. Via crucis con birra finale.
Entriamo nella chiesa che la Prima guerra mondiale distrusse completamente. «Non la guerra bensì l'esercito italiano», ci sorride frate Jan. Cinquantasei furono i battaglioni imperiali spazzati letteralmente via durante la conquista italiana di questa cima. La vetta, a causa del fuoco nemico, si abbassò di sedici metri. «Prima la cena poi la doccia».
Cella francescana. Ordine religioso che fa rima con vita di confine. Attaccati alla terra, sentinelle, osservatori speciali. Paolo mi racconta che nei Balcani durante l'ultima guerra ha conosciuto frati metaforicamente con il fucile sotto il saio, gente pronta a tutto. Gente tenace. Minestra, un po' d'insalata, pane. Tempo sospeso, congelato. Meravigliosamente autentico. Frate Jan apre le porte del piccolo museo, tra collezioni di ex voto, pezzi della basilica originale e zanne di elefante. Chiede di scattare alcune foto all'altare.
Padre Bepi, il guardiano. Sguardo senza malizia. Chiede se all'Università di Trieste insegnano lo sloveno. Il regime fascista cacciò i frati sloveni, rimpiazzandoli con trentini. Poi le luci di Gorizia e Nova Gorica accendono la valle. Dal Monte Santo tutto sembra avere una luce diversa. Alzi la mano chi non ha mai guardato all'eremo con curiosità.
(3 - Continua. Le puntate precedenti sono state pubblicate il 28 giugno e 5 luglio)
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