Nel regno dell’orso basta una chat per annullare il confine

Lo stavolo di qua, l’alpeggio di là, divisi dal filo spinato messo dalla paura del contagio. Uno schermo freddo, non un corpo vivo da abbracciare: sperimentiamo l’assenza della distanza

Greta sorveglia la notte avvolta dal mobile manto delle stelle. In montagna, sugli stavoli ormai pronti alla transumanza, la volta del cielo resta accesa di miliardi di piccole luci. Sembra che tremino, ma è soltanto la distanza ad accreditare l'immagine di un freddo e splendido egoismo.

La ragazza guarda oltre la linea di cresta, già patria del suo camminare al di sopra dei boschi e sui prati. Oltre la linea c'è Zef, c'è la sua casa nella valle alta dove le volpi fanno a gara a contendersi il pane vecchio e le croste della polenta rimasta attaccata al fondo del pentolone.



In mezzo c'è il blocco del confine fra la Carinzia del Nord e quella che un tempo chiamavano Carinzia del Sud, ossia la Valcanale. La frontiera è tornata con il filo spinato della paura e del contagio. Ma come, come faremo a portare i cavalli e le manze all'alpeggio? Dove potrei vedere Zef di nascosto, nel soffice e ammaliante aroma del fienile come i vecchi quando erano ragazzi? Lo stavolo di qua, l'alpeggio di là da quella pietra bianca che pare ammonire: questo è il confine, non passano né le bestie né l'amore.

AMORI D'ESTATE / TUTTI I RACCONTI

Intese quasi millenarie e patenti imperiali degli Asburgo assegnano i pascoli con regole severe, incuranti delle frontiere nazionali. L'intero versante Nord del Mangart, del resto, appartiene agli allevatori sloveni di Ràteče e non a Weissenfels, l'italiana Fusine. Diritti di sfalcio, legnatico e raccolta di foglie per le lettiere di stalla restano confermati per ora e per sempre dal Trattato di San Germano sottoscritto all'indomani della mattanza della Grande guerra.

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La storia interpretata da Gianluca Chicconi


Nell'era del digitale, nel tempo della vita e dell'amore virtuale, resta il diritto delle famiglie di ricavare dagli abeti non soltanto le lamine preziose delle casse di risonanza di archi e pianoforti, così ricercate dai mastri liutai per via della loro fibra fortissima, compatta e assai regolare. Resiste sulla carta anche il diritto, certo non più esercitato, di tagliare stecchetti minuti per far luce al posto delle candele, che dovettero risultare merce da signori. Su alla Feistritzer Alm, l'alpeggio di Feistritz, alla contigua Alpe di Achomitz e alla Sella di Lom, appena sopra il Rifugio Nordio dell'Alpina di Trieste, gli steccati servono a contenere i vagabondaggi delle mucche, ma a malincuore i forestali dell'una e dell'altra parte hanno dovuto vigilare che nessuno passasse.

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I protagonisti immaginati da Gianluca Chicconi

L'Oltre è stato proibito. Tuttavia quassù anche l'amore conserva un respiro diverso. Sa aspettare. Come l'orso che abbandona le solitudini delle Terre Alte e scende verso Sud per cercare la femmina una volta ogni due anni, obbediente al comando di conservare la sua nobile stirpe. Come i cervi che riempiranno i silenzi delle vallate con i loro imponenti bramiti dalla fine di settembre. Non prima. Come Greta, quasi. Che però “chatta” di continuo con Zef e poi, sì certo, concorda convegni segreti al nascosto fra dolce e inebriante fieno di primo taglio e assi di larice antico che hanno visto la storia. Forse stavolta non riuscirà il loro incontro, gli accidenti e gli imperativi sono troppi. Ma l'attesa reca dolcezza.

Lord Byron immaginò scenari diversi, ma prefigurò il medesimo fremito estatico quando scrisse: “She walks in beauty like the night”. Lei incede in bellezza come la notte.

* * *

L'amore di confine è un amore consueto fra le Alpi Giulie, l'estremo lembo delle Carniche e le austere Caravanche, che più ad Oriente separano la Rosental, Valle delle rose della Carinzia, dal trogolo della giovane Sava nella Gorenska slovena: un immenso portale alpino verso l'inesprimibilità dei Balcani. Dal profumo dei pascoli già si intuisce il sapore alato dello slivovitz, che una volta Johannes Urzidil definì non senza ragione come uno spirito “quasi omerico”.

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I protagonisti del racconti nei disegni di Gianluca Chicconi


Amore di confine. Comincia da bambini, come mi accadde all'età di quattro anni con Andreja, la coetanea windisch dell'Austria per me ancora mitica che da un pancaccio del Gasthaus, su all'alpeggio, mi guardava e sorrideva fra le sue corte trecce. Era bello innamorarsi di un amore innocente davanti a un'enorme tazza di latte di stalla appena bollito e a due fette di pane nero. Nient'altro. La vera libertà non è il postulato di una rivoluzione, che impugnando la fiaccola di Prometeo spesso conduce a nuovi Cesari, ma piuttosto il fascino appagante della vita semplice e immediata.

Chissà dov'è ora Andreja, biondi i capelli e candida la pelle che ostentava sotto la luce flebile ma costante di una vecchia lampada a petrolio. Dov'è Romi, la ragazza prosperosa e robusta dagli occhi scuri e penetranti, che pareva uscita da una pagina di Francis Scott Fitzgerald e invece lasciava bigliettini scritti con cura in un inglese stentato sul limitare della frontiera, per esprimere in forme esotiche un sentimento audace e ancora acerbo? Dov'è il Sogno, se non nel cuore di ogni uomo? Ancora una volta, Noch einmal, il viaggio nella fantasia del futuro possibile può non annegare nel futuro passato se si seguita a sognare. Ancora una volta, noch einmal, canta per me usignolo, è un'antica canzone dell'Austria felix che rimanda ai tempi perduti fin dalle prime parole: “Quando mio nonno aveva vent'anni”. Eppure l'amore senza il Sogno non può esistere, come la Montagna. Sarebbero istinto e pietre, non più dono dell'altro ed emozione dell'Assoluto.

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I protagonisti immaginati da Gianluca Chicconi


Vide bene al fondo dell'anima umana Fernando Pessoa, nel cuore della notte sul 12 ottobre 1913, vigilia sferragliante del grande massacro, quando a Lisbona nell'atto unico del “Marinaio” annotò con scrivere istantaneo da piena fluviale: “Forse si muore perché non si sogna abbastanza”. Anzi, quel dramma “statico” ambientato in un castello, dove tre fanciulle vestali vegliano un morto fino al manifestarsi dell'alba, rappresenta la quintessenza del sogno.

Nella Vienna di Sigmund Freud Arthur Schnitzler elaborava la narrazione psicoanalitica teatrale con la formidabile Traumnovelle, la “Novella del sogno” (in Italia nota come “Doppio sogno”), nella Trieste di Edoardo Weiss Italo Svevo affrontava la traversata dal sogno infranto di Emilio Brentani in “Senilità” all'approdo più saldo, maturo e autoironico della “Coscienza di Zeno”. Pessoa andò oltre, ripensando a Shakespeare: se l'amore vero è un sogno, se la vita stessa è un sogno, allora occorre sognare un sogno dentro un sogno e questo secondo sogno dentro un sogno ancora. È la “Tempesta” ed è Amleto ed è molto altro. Ma è anche ognuno di noi. Il genio soffre gli steccati, ma il vero sogno declinato nel reale rimane l'amore: Paolo insegnava ai Corinzi che l'amore sopporta ogni cosa. E vince ogni cosa. Oggi, qui e adesso, l'amarsi è un rispondere vigoroso all'imperativo della calda vita dopo le folate della morte e del terrore epidemico. Il presentimento della libertà conduce all'incontro, al non guardare alcuna circostanza della verità se non alla bellezza. A risalire la corrente come i giovani salmoni che sfidano la gravità fra le rapide. Così come l'uomo, che risale la corrente del mondo cercando, anche negandolo, lo Spirito che unisce tutte le cose.

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La storia interpretata da Gianluca Chicconi


A poco a poco, la paura si è dissolta come la neve, gli spettri si sono sfasciati negli abissi fra le rocce. Il verde ora è più verde, di quel verde vivo e fresco che riposa gli occhi e il cuore. Greta e Zef camminano a passi lenti fra le tane delle marmotte. Le sentinelle hanno lanciato il fischio d'allarme e tutte insieme si sono infilate con un guizzo nelle loro imponderabili caverne. Soltanto le ultime, curiose più che prudenti, hanno teso ancora le narici verso il potenziale nemico per carpirne la natura e l'intenzione. Poi più nulla: la terra le ha accolte nel suo rifugio sotto le zolle soffici cosparse di anemoni e genziane.

Lo sguardo si solleva di colpo: sullo sfondo il Castello incantato dello Jf Fuart troneggia rassicurante, fasciato per traverso dalla sua Cengia degli Dei. L'amore di confine si coccola nel tiepido dell'estate perpetuando promesse e progetti al cospetto delle Alpi. Dal Gasthaus sale un aroma di goulasch al quale non è facile resistere, sebbene da quel luogo di umanità un tempo non soltanto i profumi della cucina, ma anche un bel canto di montagna si diffondesse nella pace e nei feudi dei silenzi. L'amore e gli uomini non cantano più, raramente montano ancora in sella. Carri e carrozze non se ne vedono, se non nell'Arcadia da cartolina per turisti.
Il futuro prossimo appare designato. Greta andrà a Vienna a studiare psicologia, mentre Zef seguirà le orme del padre e governerà la mandria d'estate su al pascolo e d'inverno al chiuso della stalla. Il padre di Greta alleva i cavalli Haflinger, la razza avelignese così cara ai bambini, ma anche i forti e pazienti Noriker, i neri norici da tiro, equini poderosi dal sangue freddo e dal carattere docile. Sono i giganti buoni delle praterie superiori.
Un altro confine segnerà il passo di questo amore: l'assenza nella distanza. Un tempo tal genere di assenza si mitigava in calde lettere frequenti. Oggi basta un clic per vedersi, toccando uno schermo freddo anziché il corpo vivo, sfiorando l'anima anziché abbracciarla nelle spire del desiderio.


È ancora estate, però. È ancora amore vivo e vero e presente in ogni sua forma. Lontane le sferzate dell'inverno, ancora remote anche le avanguardie fredde dell'autunno con i suoi struggenti tramonti. Lontani i sentieri tappezzati di foglie cadute dai faggi, riluttanti a spogliarsi di quei manti sfolgoranti d'oro e di fuoco. Ritornerà il vento dai capelli bianchi, come i pastori mongoli chiamo la loro Bora scura intrisa di neve ghiacciata. E verranno altri amori di confine. Amare e farsi amare è anche il brivido dell'istante, l'attimo senza tempo che esclude tutto il resto visibile e include ogni sorta d'invisibile.
* * *
L'aria discreta di questa estate pettina il prato brucato a raso dai cavalli, che ondeggia come un placido mare accarezzato dalla brezza. Se pioverà ancora, né poco né troppo, riuscirà una seconda fienagione. Dipende dal Cielo.
I resistenti di queste valli non proclamano nuove verità del mondo e tengono a distanza, per necessità, le molteplici forme dell'apparire e del vano. Queste donne e questi uomini sfamano le loro bestie e mandano avanti a spintoni di passione e caparbietà la vita della Montagna. Sono forti di un sapere antico, i resistenti. Un sapere tramandato dai padri e dai nonni che li salverà, noch einmal, dall'onda maligna dell'eterno presente.
Vivendo in tale paradiso, difficile e straordinario, si ha come l'impressione di non aver mai smesso l'età dell'infanzia. Così anche gli amori, quelli veri e meditati, gli amori riflessivi e totalizzanti che sanno mettere radici, conservano il sapore della condizione di un fanciullo. Il tempo si dilata facilmente e la vita scorre più lenta. Anche il dolore si fa più lento e meno invasivo. Così accade a Greta e Zef.


Il bambino e la bambina diventano padri e madri, nonni e nonne. I vecchi bambini si accomodano sulla sacra soglia di casa, s'intendono sui nuovi modi dell'amore, che è fatto di cose tramandate ed essenziali: conservare le erbe officinali, dalla malva che allevia le infiammazioni all'arnica che guarisce dai colpi maldestri. E poi le minute pigne del pino mugo che maturano ogni due anni e vanno raccolte ancora verdi e resinose per porle sotto lo zucchero e ricavarne lo sciroppo per la tosse o sotto grappa per scaldarsi le ossa.
Così con il “Lustock”, il bastoncino della felicità o levistico officinale, volgarmente conosciuto come sedano selvatico: potente digestivo quasi al pari della gialla radice di genziana, che però è amara di un amaro assoluto. Invece il “Lustock” ingentilisce la bottiglia di spirito di vinaccia con un colore verde pallido, leggiadro, si direbbe mozartiano.


Vecchi e bambini s'incontrano sui sentieri del sapere istintivo e primordiale. Tutto è fiaba, anche se tutto è realtà attingibile e immanente. Come nel fitto del bosco, dove nessuna creatura mangia frutti e funghi velenosi, nessun ungulato morde il bosso. Nessun vivente, tranne l'umano, assume il male di propria volontà, né dà la morte per compiacersi di se stesso. Nessun altro vivente è capace di amore insieme carnale ed elettivo come fra Greta e Zef, ma soltanto l'uomo maturo che ha deposto i teneri panni della puerilità – armato del libero arbitrio - conosce l'abiura, il tradimento e la menzogna. No, meglio restare fanciulli e ragazzi cullati per sempre nei pascoli alti della Montagna.


Così il bambino che non è più un bambino e però ha ancora gli occhi del bambino (ah, Peter, quali parole d'amore!) diventa il Puer aeternus, l'archetipo del fanciullo per sempre, che scopre l'amore e lo tiene serrato nel petto, quale tesoro ineffabile. Certe cose non si lasciano dire, eppure il fanciullo per sempre le sente dentro, è una condizione che scalda e conforta. Questo amore di montagna fra un giovane uomo e la sua compagna si fa amore totale. La Legge governa ogni cosa, come gli spiriti delle selve che nella luce del disgelo rigenerano la vita ad ogni primavera. Come il falco che signoreggia da cavaliere volteggiando nel vuoto che gli è cielo e terra. Come Parsifal, cresciuto nella foresta, al quale è concessa la vista del Santo Graal poiché ha il cuore puro. —
Valbruna-Wolfsbach, maggio 2020



 

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