Nel convento dei Cappuccini di Gorizia un altro frate positivo e uno in quarantena
GORIZIA. C’è un positivo al Covid-19 fra i cinque frati cappuccini che vivono, attualmente, nello storico convento di piazza San Francesco, a Gorizia. A quanto trapela, è completamente asintomatico, non ha mai avuto febbre né tosse secca in questi giorni ed è sulla via della guarigione: fondamentale, anzi decisivo sarà il responso dei due tamponi di controllo che decreteranno se il Covid-19 è passato o se la battaglia è destinata ad allungarsi. Ma le sue condizioni di salute sono buone.
Il frate, di cui non viene rivelato il nome, non è mai stato ricoverato in ospedale, vive nel convento, confinato nella sua stanza. E sono gli altri cappuccini a fornirgli i pasti e tutte le cose di cui ha bisogno, lasciandole davanti alla porta e osservando rigorosamente i dettami del distanziamento sociale. Inoltre, è giornaliero e continuo il confronto con il personale medico che tiene monitorata la situazione. Una situazione che appare rassicurante, nonostante la comprensibile angoscia che ha scatenato la notizia della positività in tutto il convento.
Non è l’unico sviluppo. Perché il frate che l’aveva accompagnato in auto al tendone del Dipartimento di prevenzione Asugi per l’effettuazione del primo controllo è stato posto in quarantena. Pur essendo negativo e anche se le sue condizioni sono ottime, la decisione è stata presa proprio perché è rimasto in contatto (pur con mascherina e guanti) con il frate positivo al coronavirus. E il periodo di isolamento terminerà nei prossimi giorni.
Gli altri tre frati, che si sono sottoposti al tampone dopo che il coronavirus aveva colpito il compianto frate Aurelio Blasotti, sono risultati tutti negativi. Sin dal primo minuto. Fino a qualche giorno fa, anche un altro frate risiedeva nel convento di Gorizia solo che, da alcuni giorni, è a Rovereto dove sta dando una mano nell’infermeria a Bordo Santa Caterina.
Tornando al lutto, inizia ad appalesarsi qualche inquietudine in città perché il cappuccino deceduto, padre Aurelio Barsotti, era il confessore ufficiale. Ma non ci sono evidenze per cui si possa parlare di un ceppo dei Cappuccini, come fu per il primo (che contagiò una decina di persone) riferibile al gruppo Hera, innescato dall’impiegato amministrativo della multiservizi che aveva contratto la malattia durante una trasferta a Treviso, all’ospedale di Ca’ Foncello. Alla fine, contagiò i suoi colleghi che, a loro volta, infettarono anche i conviventi. Oggi, sono tutti guariti.
Infine, continua ad essere forte il cordoglio per il decesso di padre Aurelio. Un giovane terziario francescano di Gradisca d’Isonzo lo ricorda teneramente e lo definisce «uomo generoso, ricco di Fede e pieno di Dio, zelante nel perseguire i dettami di Cristo. Ognuno di noi terziari ha potuto attingere dall’amato fra Aurelio la bellezza dl cammino di Dio attraverso le orme del Padre Serafico. Ti porterò sempre nel cuore».
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