Nel cimitero di Vipacco due rari sarcofagi egizi

VIPACCO. L’Antico Egitto è a mezz’ora di macchina da Gorizia. Si trova in Slovenia: nel cimitero di Vipava. Quello che potrebbe suonare come uno strano annuncio pubblicitario è invece realtà. Il piccolo centro nella Valle del Vipacco è lontanissimo dalle piramidi di Cheope, Kefren e Micerino, eppure ospita due rarissimi sarcofagi egizi provenienti dalla piana di Giza. Sono arrivati in Europa nel 1845. A portarceli è stato sir Anton Lavrin.
Amico di Metternich e console generale d’Austria in Egitto dal 1834, era originario proprio del paese costruito alle pendici del Monte Nanos. Scoperti nelle tombe di due cortigiani della quarta e quinta dinastia (26mo e 25mo secolo avanti Cristo) i due sarcofagi si trovavano ai piedi della piramide di Kefren. Appartennero uno al principe Iunmin (probabilmente figlio del faraone Micerino), l’altro al cortigiano Rawer (o Rahuy).
La villa di Alessandria dove tutti i documenti di Lavrin erano conservati venne distrutta dagli inglesi nel 1882, così, secondo quanto è stato tramandato, pare che il console abbia acquistato le due casse in granito rosa di Assuan avvalendosi dell’aiuto del mercante Yusuf Masara. Le spedì via nave dal porto di Alessandria.
Sbarcate a Trieste vennero caricate su quattro carri trainati, ciascuno, da una coppia di buoi. Proprio qui cominciò la parte di viaggio forse più difficile e avventurosa. Le pesanti pietre attraversarono il Carso fino a Gorizia e da qui imboccarono la Valle del Vipacco per raggiungere la loro destinazione definitiva. Rimasero in balia delle intemperie fino al 1999, quando finalmente venne costruita la tettoia che oggi le protegge.
Il fatto più interessante è che al mondo, di sarcofagi come quelli di Vipava, ne esistono soltanto sei: due si trovano al museo egizio del Cairo, uno è al British museum di Londra e l'ultimo è di proprietà del Pelizaeus Museum di Hildesheim in Germania e di questi solo uno è in granito rosa di Assuan.
Oggi il sarcofago appartenuto a Iunmin contiene le spoglie di Jozefa Ursic e Jernei Lavrin, genitori del diplomatico. Nell’altro ci sono quelle del figlio Albert Aleksander, morto quando aveva appena 7 anni. Ironia della sorte, non è noto dove siano finiti i resti mortali di Lavrin. Morto ottantenne a Milano nel 1869, anno dell’inaugurazione del Canale di Suez, venne sepolto al cimitero monumentale della città lombarda, ma quando nessuno pagò più la concessione per la sua sepoltura, la tomba venne smantellata e, probabilmente, le sue ossa furono gettate in una qualche fossa comune lontano dal suo paese natale e lontano da quei sarcofagi dove forse pensava avrebbe trascorso l’eternità. Come un faraone.
Uomo di cultura e di grandi capacità, Lavrin era figlio di un proprietario terriero benestante. Si laureò in giurisprudenza a Vienna e grazie alla conoscenza delle lingue straniere intraprese la carriera diplomatica. Prima di diventare console generale d’Austria in Egitto, ricoprì lo stesso incarico per sei anni a Palermo dove conobbe la moglie Penelope Beneducci.
Il suo nome è in qualche modo legato anche a Trieste. Cedette parte della propria collezione archeologica a Massimiliano d’Asburgo. I reperti dovevano servire a decorare il parco del Castello di Miramare, ma dopo la morte dell’arciduca d’Austria in Messico, la collezione venne trasferita a Vienna. Oggi di quel tesoro a Trieste rimane soltanto la sfinge che si trova sul molo del castello.
Tra leggenda e verità, a Vipava si tramanda un aneddoto secondo cui Lavrin volesse inviare a Trieste anche un obelisco. Era di dimensioni tanto grandi e monumentali da rimanere nel porto di Alessandria per due decenni. Rimase in un magazzino fino a quando non venne visto e comprato dagli americani che lo portarono a Washington scippandolo a Trieste.
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