Nei Pronto soccorso di Gorizia 100 ingressi al mese per i morsi di zecca
Negli ultimi dieci anni nell’Isontino 52 casi di morbo di Lyme L’importanza della prevenzione e di un intervento rapido
GORIZIA Sono un centinaio ogni mese, in primavera e in estate, le persone che si rivolgono ai Pronto soccorso degli ospedali di Gorizia e Monfalcone dopo essere state morse da una zecca. La maggior parte di loro, fortunatamente, senza alcuna conseguenza, anche se, come è noto, le zecche possono essere decisamente pericolose in quanto in grado di trasmettere diversi agenti infettivi responsabili dell’insorgere di patologie anche piuttosto complesse da curare e gravi. Le più note, la malattia di Lyme e la meningoencefalite da zecca (Tbe).
Nell’Isontino la presenza delle zecche, specialmente nella zona del Carso, ma non soltanto, è abbondante dalla primavera all’autunno, con i picchi di “incontri indesiderati” con l’uomo che vengono registrati solitamente tra il mese di marzo e quello di giugno. Così, ad esempio si stima che al Pronto soccorso di Monfalcone si rivolgano per questo problema almeno un paio di persone al giorno. «I numeri in tal senso sono sostanzialmente stabili nel corso degli anni - spiega Alfredo Barillari, primario del Pronto soccorso di Monfalcone -, e quotidianamente, in questi mesi primaverili, visitiamo due o tre pazienti morsi dalle zecche. Fortunatamente non abbiamo registrato situazioni di grande complessità e gravità, ma può capitare di confrontarsi in particolare con l’insorgenza della malattia di Lyme». A tal proposito i dati forniti dal Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Sanitaria parlano di un caso sin qui registrato - ma ancora oggetto di valutazione - nel 2018, mentre lo scorso anno la patologia è stata riscontrata in 3 pazienti. Se l’anno più fortunato in tempi recenti (in un decennio che ha visto 52 casi), è stato il 2016 (nessun caso), i picchi massimi nell’Isontino si sono registrati nel 2008 (7 casi), 2009 (10) e 2012 (9).
«È importante sapere però che ad ogni morso non equivale la trasmissione della malattia, che si trasmette invece con un contatto minimo di 24 ore - dice ancora Barillari -. Pertanto il rischio non c’è se si elimina la zecca entro questo termine. Ci si può rivolgere al medico o al Pronto soccorso, ma si può intervenire anche autonomamente, utilizzando una pinzetta per le ciglia, afferrando l’animale e tirando senza strappare con una lieve rotazione».
La tipologia di zecca più pericolosa per l’uomo è la Ixodes Ricinus, che trasmette le patologie più complesse. Detto del morbo di Lyme - infezione che solitamente si manifesta nella fase iniziale, quando è curabile, con l’arrossamento della pelle, e che se non curata può cronicizzarsi causando gravi danni alle articolazioni, al cuore o al sistema nervoso - ancor più pericolosa è la meningoencefalite da zecca, o Tbe, che colpisce il sistema nervoso e può avere esiti anche molto gravi. La Tbe non viene trasmessa però da tutti i tipi di zecca, e quindi fortunatamente è estremamente rara sul territorio isontino, manifestandosi più di frequente invece nelle zone della Carnia e dell’Alto Friuli. Tra il 2003 e il 2016 in regione - dove la vaccinazione è gratuita, e copre attualmente circa il 5% degli abitanti) - sono stati segnalati 87 casi di Tbe, con 3 decessi e 3 esiti invalidanti. Il numero dei casi è però in diminuzione negli ultimi anni, forse anche per la crescita della cultura della prevenzione.
«È fondamentale la conoscenza del rischio da parte delle persone - spiega infatti Giulio Rocco, dell’Unità operativa igiene e sanità pubblica dell’Azienda sanitaria -. E il nostro compito è anche quello di comunicare il più possibile con l’utenza, per renderla più consapevole. Ed è per questo che risultato molto utili i materiali informativi predisposti ad esempio dalla Regione. Inoltre, se per la malattia di Lyme non esiste una profilassi vaccinale, questa è disponibile per il virus Tbe, presente soprattutto nelle zecche dell’area prealpina e collinare del Friuli Venezia Giulia». E poiché anche i cittadini dell’Isontino possono frequentare quelle zone, così come la vicina Slovenia, l’Austria o altri paesi, pur senza allarmismi è bene non snobbare il problema.
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