Persi 562 negozi in dodici anni a Trieste: via Piccardi l’emblema

I dati di Confcommercio fotografano la crisi delle attività di vicinato. Serrande giù e garage al posto delle botteghe ma c’è anche chi resiste

Maria Elena Pattaro
Saracinesche abbassate in via Piccardi
Saracinesche abbassate in via Piccardi

​​​​​​Saracinesche abbassate e insegne sbiadite dove un tempo c’erano merci in esposizione e un continuo viavai di clienti. Quando i negozi sotto casa erano una forma di socialità oltre che un servizio. Negli ultimi dodici anni Trieste ne ha persi 562. In media uno a settimana. Si è passati dai 1.887 punti vendita tradizionali del 2012 ai 1.325 censiti a giugno del 2024. I dati arrivano da Confcommercio e raccontano di un settore in crisi profonda, forse irreversibile. A pagare il prezzo più alto sono state le botteghe lontane dal centro storico, con 490 chiusure.

L’emblema di via Piccardi

Uno degli esempi più emblematici della desertificazione in atto è via dei Piccardi. Vent’anni fa era un microcosmo di botteghe: panetteria, macelleria, ortofrutta, pescheria, latteria, tabacchino, edicola, alimentari, bar, un mobilificio, persino l’arrotino. E l’elenco potrebbe continuare. «Avevamo tutto – raccontano dall’edicola, una delle poche attività superstiti –. Adesso gran parte di quei negozi sono diventati box auto o magazzini. È desolante».

A camminarci oggi, in via dei Piccardi, si respira un’aria di declino. Al civico 54, sulla serranda arrugginita campeggia il cartello di un’agenzia immobiliare: «Vendesi foro commerciale o magazzino 57 mq». Da altri vani da cui fino a qualche anno fa uscivano avventori con sporte e cartocci, oggi sbucano macchine e motorini. I motivi dell’affanno del commercio tradizionale, secondo il presidente di Confcommercio Antonio Paoletti, vanno cercati «nella concorrenza della grande distribuzione e dell’e-commerce», ma anche «nei cambiamenti delle abitudini della clientela».

I commercianti devono fare i conti anche con l’aumento delle spese: «Pressione fiscale, affitto, costi delle merci e di gestione – dicono da via dei Piccardi –. È difficile far quadrare i conti e stare a galla». Il risultato è che la via si è spenta: «Molti hanno resistito fino alla pensione ma poi nessuno ha rilevato la licenza – spiegano dall’edicola, attiva da 25 anni –. Anche noi cerchiamo di tirare avanti ma il bacino d’utenza si è spostato verso i grandi centri». «Invertire la rotta? È quasi impossibile, siamo destinati a diventare una via deserta», aggiunge l’edicolante allargando le braccia.

A Gocce e Bolle, che vende prodotti per l’igiene e per la casa, Francesca Giampietro ha trovato una formula efficace: «Abbiamo puntato molto sulle consegne a domicilio. Era un servizio che offrivamo già prima del Covid – spiega la titolare – ed è molto apprezzato, specie dagli anziani. Li abbiamo viziati al punto che ci chiedono la cortesia di portare anche prodotti di altri negozi, come pane e latte». «Ovviamente la nostra risposta è sempre sì – aggiunge con un sorriso – il bello dei negozi di quartiere è proprio questo. I clienti diventano amici, si crea un rapporto di fiducia e intimità». Fra due anni Francesca andrà in pensione e il rischio è che Gocce e Bolle diventi un’altra saracinesca abbassata. L’ennesima. «Di pomeriggio siamo l’unico negozio aperto in questo tratto e ultimamente gira gente sospetta. Non siamo più tanto tranquilli». Già, perché dove arretrano i negozi di prossimità spesso avanzano sacche di degrado, con tutte le ripercussioni sulla sicurezza (reale e percepita) che questo comporta.

Il bar Piccardi 40, aperto dal dopoguerra, conserva la spontaneità del locale di rione. Francesca Conte e il compagno lo hanno rilevato circa un anno fa e hanno deciso di mantenere una piccola mensola con alcuni generi alimentari di prima necessità «per i clienti più anziani che hanno difficoltà a raggiungere i supermercati» spiega la barista. «Sembra quasi un circolo: si mangia e si beve, si chiacchiera, si legge il giornale. C’è bisogno di recuperare questa forma di socialità», osserva Maristella De Stradis, che è lì con un’amica. Un vero e proprio baluardo è la pasticceria La Perla, aperta nel lontano 1967. «Qui c’è il laboratorio, il nostro cuore pulsante. Abbiamo chiuso un punto vendita in centro città per investire più energie qui – racconta il titolare Federico Valente –. Vogliamo continuate a essere un punto di riferimento per il quartiere». Una delle poche oasi rimaste in una via che si sta desertificando.

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