Nascosto nel giuramento degli Orazi il fascino buio della morte

L’ottava lezione del ciclo di Lezioni di storia ideato dagli Editori Laterza con il Comune di Trieste sarà tenuta da Andrea Giardina domenica 3 aprile alle 11 al Teatro Verdi
Il giuramento degli Orazi
Il giuramento degli Orazi

TRIESTE Ottavo appuntamento con il ciclo di lezioni “La Storia nell’arte”. Domenica 3 aprile alle 11, al Teatro Verdi di Trieste, Andrea Giardina parlerà su “La patria e la bella morte” a partire da “Il giuramento degli Orazi” di J.-L. David. L’incontro, organizzato dagli Editori Laterza con il Comune di Trieste, “Il Piccolo”, Acegas Aps Amga del Gruppo Hera, Fondazione CRTrieste, sarà introdotto dal giornalista Pietro Spirito e potrà essere seguito con la diretta streaming qui sotto.



di ANDREA GIARDINA

L'opera d'arte che ho posto al centro dell'attenzione è un olio su tela eseguito tra il 1784 e il 1785, oggi al Louvre, intitolato Le Serment des Horaces, Il giuramento degli Orazi. Fu commissionato dalla corte di Francia. È un grande quadro, di 3 metri e 30 x 4 metri e 25, opera di Jacques-Louis David. Molti lo conoscono ma non è certo il primo dipinto che viene in mente al pubblico di media e alta cultura quando pensa alle opere più importanti della storia dell'arte. Eppure alcuni critici non hanno esitato a definirlo un'autentica svolta nella storia della pittura. E personalmente condivido nel modo più totale il giudizio del grande storico dell'arte e direttore per molti anni della National Gallery di Londra, Sir Michael Levey, che lo definì “La quintessenza della pittura neo-classica. Unì le generazioni e le nazioni”.

Ma c’è di più. Quel quadro avrà nel corso della storia, dal tempo di David e fino ai nostri giorni, un importante destino in cui, come in un gioco di specchi, si mescolano arte e vicende politiche: una volta l’arte si fa politica, una volta la politica si fa arte, in un laboratorio dove si passa dalle parole dello storico Tito Livio al quadro di David, alla gestualità vissuta dei deputati della Pallacorda durante la Rivoluzione Francese, alla raffigurazione che di quest'ultima diede lo stesso David, alla metamorfosi del gesto del giuramento rivolto poi a Napoleone, per arrivare alle dittature del XX secolo e ai tristi epigoni dei giorni nostri.

Tutti conosciamo la storia reppresentata nel quadro, per averla appresa alle scuole elementari. Ce la racconta Tito Livio, nel primo libro delle sue Storie. Sotto il regno del re Tullo Ostilio, considerato dalla tradizione un sovrano bellicoso, ma nel complesso un buon re, Roma entrò in guerra con la vicina città di Alba Longa, allora guidata dal dittatore Mezio Fufezio. Era una guerra inevitabile, per motivi di orgoglio - ognuna delle due parti riteneva di aver subìto dei torti - ma era poco sentita. Era percepita come un conflitto innaturale, perché le città erano entrambe di origine troiana (c'è appena bisogno di dire che si tratta di una leggenda) e non nutrivano particolari motivi di odio. Era anche percepito il timore che i veri nemici comuni, gli Etruschi, approfittassero del logoramento che ne sarebbe derivato per aggredire il vincitore, chiunque fosse stato.

Si arrivò così a un'intesa che avrebbe affidato la soluzione del conflitto a uno straordinario duello. Negli eserciti opposti militavano tre gemelli da una parte e tre gemelli dall'altra. Si decise di affidare tutto a un combattimento tra questi sei guerrieri. Qualunque fosse - recitava il testo dell'accordo - il popolo i cui cittadini avessero vinto in quel combattimento, esso avrebbe con buona pace dominato sull'altro.
Si celebrarono rituali arcaici, dei quali Livio dice i particolari, si pronunciarono solenni giuramenti chiamando gli dèi a testimoni. La supremazia era affidata al valore e alla fortuna di pochi uomini. Gli eserciti sono disposti tutti intorno al luogo del combattimento, come spettatori di uno spettacolo, incitano i loro eroi, come fanno i tifosi, erano tanti agitati dice sempre Livio, che a un certo punto mancò al pubblico la voce e il fiato (torpebat vox spiritusque). Livio cerca di essere equanime, affermando che né i tre Orazi néi i tre Curiazi erano in ansia per la propria sorte e pensavano soltanto a quella della patria.

Compare subito il tema della patria e della bella morte. La vita del singolo, la vita dell'eroe, in una società in cui molti hanno il dovere di essere eroi, non conta nulla rispetto all'amore per i concittadini e per la patria comune. Si accende la mischia, i corpi di riempiono di sudore e di sangue per le ferite. Due romani cadono morti. Gli Albani esultano perché l'esito sembra ormai scontato. L'unico romano sopravvissuto è circondato. Ma l'Orazio superstite è illeso, e si sente forte. Capisce se affronterà contemporaneamente i tre Curiazi morirà di certo, mentre se li affronterà uno alla volta li potrà battere. Ricordiamo tutti la sua astuzia: finge di fuggire, gli altri lo inseguono, si distanziano, si affaticano, alcuni hanno ricevuto ferite, sono affrontati a singolar tenzone e tutti cadono uccisi. L'ultimo duello è particolarmente drammatico. Orazio ha vinto, Roma celebra uno dei suoi primi trionfi.

I corpi dei morti vengono sepolti sul medesimo luogo dove sono caduti, perché quel luogo diventa come si dice ormai con espressione usurata, un luogo di memoria, un sacrario. La terra è come consacrata dal loro sacrificio. Particolare importante, che sembra sfuggito agli studiosi, al corpo dei vinti è riservato il medesimo trattamento di quello dei vincitori. Dopo il bagno di sangue un popolo esulta e l'altro si dispera, ma i patti vengono rispettati e il dominio romano è concepito come una fusione.

David dipinse in seguito a una committenza di corte, ma il suo coinvolgimento emotivo fu rafforzato dall'impressione che ricevette da una rappresentazione del dramma in cinque atti Horace, composto da Corneille nel 1639. La scena dipinta da David non si trova tuttavia né in Corneille né in Livio né negli altri autori antichi che parlano dello scontro tra Orazi e Curiazi, Valerio Massimo e soprattutto Dionigi di Alicarnasso, che scrisse in età augustea, come Livio. È una pura invenzione dell'artista.

I tre fratelli sono pronti alla bella morte per la patria, com'è facile prevedere e come sanno bene le figure femminili, splendide, raccolte sulla destra(Sabina, la sorella sposata con uno dei Curiazi - la vediamo semisvenuta su una sedia, sa che perderà o il marito o il fratello, o entrambi; Camilla, che è ancora vergine, come indica l'abito bianco, è fidanzata con uno dei Curiazi, la sorella; una balia che cerca di proteggere i bambini da quella vista), e come indica il mantello rosso del padre, una cascata di sangue che prefigura la carneficina. "Violenza patriottica e scompiglio domestico, sangue e lacrime". Si inventa un momento che dovette precedere lo scontro. Si esaltano la fratellanza e il sodalizio patriottico maschile. (...)

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