Nasce l’Archivio storico digitale del Piccolo: «Una grande opera di restituzione alla comunità»
TRIESTE «Tasselli spessi e grandi del mosaico che ci aiuteranno a capire il Secolo breve», nelle parole dell’assessore regionale alla Cultura Tiziana Gibelli. «Strumento potentissimo nell’ambito della ricerca e della ricostruzione storica», nella definizione del rettore dell’Università di Trieste Roberto Di Lenarda. «Un patrimonio di Trieste, dell’Italia e della storia europea», nella voce del presidente della Regione Massimiliano Fedriga.
Una «grande opera di restituzione alla comunità» che chiude idealmente le celebrazioni per i 140 anni del giornale, nell’annotazione del direttore del Piccolo e Messaggero Veneto Omar Monestier. Restituzione che ha reso accessibile a tutti un lungo percorso di storia e cronaca: laddove l’importanza della fruizione libera di decenni di fogli sta nel fatto che «quello all’informazione rientra nella grande famiglia dei diritti umani» ed è «elemento di democrazia», nella riflessione della direttrice del Dipartimento di studi umanistici Elisabetta Vezzosi.
Sono alcuni dei concetti emersi nel Palazzo della Regione, dove è stato presentato l’Archivio storico digitale del Piccolo: oltre 56 mila edizioni - dal 1881 al 2010 - consultabili online.
Storia, eventi ma anche frammenti di quotidianità, a delineare volti e nomi così come «la storia del giornalismo e della sua evoluzione», ha fatto notare la condirettrice de Il Piccolo Roberta Giani ricordando le morti di Svevo e Saba che non trovarono spazio nelle prime pagine dell’epoca: un esempio della miniera di informazioni dal passato alle quali attingere. Tanto che «penso di conoscere le pietre della città, ma rileggendo l’archivio troverò aneddoti e novità», ha detto il sindaco Roberto Dipiazza chiamato sul palco da Giani con Di Lenarda, il quale ha detto che «useremo l’archivio anche» nelle ricostruzioni storiche per il centenario d’Ateneo; e ha citato «il bell’impegno di chi fa ricerca» rivolto ai giovani studiosi che hanno illustrato i lavori redatti con l’archivio del Piccolo.
Quello della digitalizzazione è stato un impegno lungo anni, ha ricordato Monestier assieme all’ad di Gedi Fabiano Begal, chiamando a intervenire il soprintendente archivistico del Fvg Luca Caburlotto e l’assessore Gibelli. E se Caburlotto come esponente del ministero della Cultura si è detto «contento» che alla costruzione della collezione digitale abbia contribuito la rete bibliotecaria nazionale - anche con l’apporto della Biblioteca centrale di Firenze - Gibelli ha ricordato quel Secolo breve che grazie al Piccolo ciascuno può ricostruire per capire anche «i crediti che Trieste e Gorizia hanno nei confronti» della storia, peculiare in queste terre. Tanto che altro che «incartarci la verdura il giorno dopo», è la battuta di Gibelli in premessa: «Ci sono giornali, come Il Piccolo, che dopo cent’anni servono a capire cosa è successo». Begal ha citato l’allora direttore de Il Piccolo Paolo Possamai, «da cui è partito lo sforzo comune per mettere a sistema» un patrimonio che andava ricostituito nella sua interezza con l’apporto dei vari enti. E «lo volevamo fare con lo spirito di riportare alla luce la storia di questo territorio».
Operazione tanto più importante - è intervenuto Possamai - laddove l’archivio permette di «fare memoria», ossia di creare punti fermi («quando è condivisa, è memoria storica») tenendoli distinti dalla sfera del ricordo inteso quale «legittimo esercizio personale». L’archivio è anche coralità, «una grande testimonianza sociale», ha detto il direttore generale del Comune di Trieste Fabio Lorenzut citando «la dedizione quotidiana» con cui colleghi della Biblioteca Hortis hanno lavorato. Il progetto si riconnette alla filmatura dei materiali della Civica condotta negli anni ’70 e ’80. «Oggi l’archivio digitale pesca da 630 mila immagini», ha detto Guido Comis, direttore del Servizio dell’Erpac cui è andata la responsabilità della digitalizzazione della maggior parte delle copie, per darne un’idea della complessità: «All’inizio non era nemmeno chiaro quante immagini si dovessero acquisire».
È un «capitale di memoria» quello che dunque si offre, pure come «elemento di democrazia» per citare Vezzosi. Proprio da questa parola è partito il colloquio finale fra Monestier e Fedriga, il quale vede «le democrazie occidentali stanche», che «devono mettersi in discussione sul funzionamento della rappresentatività e sulla capacità di dare risposte alle esigenze dei cittadini», perché in questa capacità spicca l’antidoto forte ai totalitarismi. Ringraziando il premier Draghi che sul tema Ucraina «ha fatto prendere all’Italia una posizione chiara», Fedriga ha aggiunto come pur con le «molte lacune» le democrazie «ci permettono di vivere liberi» e pure di dire «stupidaggini, che si contestano non con la censura ma con la verità». E il giornalismo nell’epoca dei social «ha forse riscoperto il ruolo dell’informazione responsabilizzata», che si assume responsabilità di ciò che sostiene. E che è tassello di democrazia: per questo, anche «come cittadini, dobbiamo valorizzare quanto abbiamo ottenuto, e non darlo per scontato».
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