Narodni dom restituito alla comunità slovena cento anni dopo il rogo
TRIESTE. Ci vorranno dieci, forse quindici anni, per vedere le associazioni delle comunità di lingua slava insediarsi definitivamente al suo interno, ma da ieri l’Italia ha firmato l’impegno per la restituzione del Narodni dom alla minoranza slovena di Trieste. Accade cent’anni dopo l’assalto delle camicie nere al palazzo di via Filzi, che il 13 luglio 1920 rappresentava per l’italianità nazionalista il simbolo da sradicare dell’ascesa economica della borghesia slovena nel cuore della città.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto arrivare al risultato a un secolo esatto da quello che lo storico Renzo De Felice ha definito come il «battesimo dello squadrismo organizzato» e che fu l’atto fondativo del cosiddetto fascismo di confine e delle sue successive politiche di snazionalizzazione, che avrebbero portato decine di migliaia di sloveni ad abbandonare Trieste.
Le diplomazie sono al lavoro dall’indomani del 99esimo anniversario del rogo di quella che oggi è l’attuale sede della Scuola interpreti dell’Università di Trieste e che un tempo ospitava l’Hotel Balkan, banche e assicurazioni, caffè e ristoranti, un teatro, una biblioteca e associazioni culturali, artistiche e sportive. Tutto facente riferimento non solo al gruppo sloveno, ma anche alle comunità boema, croata e serba.
Fu durante la celebrazione tenuta l’anno scorso che emerse con chiarezza la volontà di restituire il palazzo agli sloveni come ultimo indennizzo per i soprusi subiti nel corso del Ventennio, dando così seguito anche all’accordo stretto nel 2017 dall’allora ministro degli Esteri Angelino Alfano in cambio del sostegno di Lubiana alla candidatura di Milano come sede dell’Agenzia europea del farmaco.
Ci sono voluti cent’anni per chiedersi scusa e la cessione della Casa del popolo (questo significa Narodni dom) rappresenta il gesto concreto di una giornata vissuta sull’onda dell’emotività e della pacificazione degli animi. Quella di ieri non è la restituzione vera e propria, ma un’importante dichiarazione di intenti firmata dal ministro dell’Università Manfredi, dal presidente Fedriga, dal sindaco Dipiazza, dal rettore Di Lenarda, dal direttore dell’Agenzia del Demanio Agostini, dal presidente della Sso Bandelj e dal presidente della Skgz Dobrila.
La stipula è avvenuta in Prefettura dopo il doppio omaggio di Basovizza. Poi la visita di Mattarella e Pahor nell’edificio. Prima degli autografi è stata la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese a sottolineare il rilievo dell’evento: «La tutela delle minoranze e delle diverse identità è uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione. La restituzione alla comunità slovena del Narodni dom, già prevista dalla Legge di tutela del 2001, potrà finalmente avere luogo.
Questa restituzione ci consente di realizzare un obiettivo fondamentale per le nostre democrazie: riconoscere e valorizzare il pluralismo delle identità. Solo così le nostre società escono rafforzate, lanciando un messaggio di grande valore e solidarietà rivolto anche alle generazioni più giovani». Posizione non condivisa da Fratelli d’Italia e dalla componente triestina di Forza Italia, richiamata poi all’ordine direttamente da Gianni Letta.
I firmatari hanno sottoscritto un documento che promette la restituzione dell’edificio dopo una serie di complessi passaggi formali e opere di ristrutturazione, che Lamorgese descrive come «un piano di precise scadenze temporali», ma che richiederà fra dieci e quindici anni, secondo la stima degli interessati. Passerà dunque ancora molto tempo prima di poter assistere allo spostamento della Scuola interpreti nel comprensorio “Gregoretti 2” nel Parco di San Giovanni (che sarà restaurato a spese del Miur) e di veder entrare in via Filzi la Biblioteca nazionale e le associazioni della comunità slovena e degli altri gruppi linguistici slavi presenti a Trieste.
Per arrivarci servirà una modifica legislativa, con cui l’Università trasferirà il Narodni dom a titolo gratuito a una fondazione creata da Skgz e Sso, ricevendo in cambio dallo Stato la proprietà dell’ex Ospedale militare, ora impiegato come casa dello studente. A sua volta il Demanio si vedrà trasferire tre immobili dell’ateneo (via Manzoni 16, via Economo 4 e via Tigor 22). Stando al protocollo, il restauro del “Gregoretti 2” dovrebbe partire entro un paio d’anni, a patto che la modifica della legge in Parlamento abbia un percorso spedito.
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