Municipio dei tesori: il palazzo blindato con 294 micro-pali VIDEO/FOTO

Nessuno si sarebbe aspettato di trovare l’antica città medievale, con le sue ceramiche e monete, perfino gli ossicini e conchiglie che i nostri antenati del 1300 avevano scartato dai loro pasti, sotto il cuore della moderna città: il municipio di Monfalcone. Invece appena un paio di metri sotto l’ex reception (all’ingresso sulla sinistra) si celava un tesoro: le fondazioni della cinta muraria e della porta-torre settentrionale, separate da un fossato. E dalla parte opposta, nel settore meridionale, all’altezza dell’Ufficio Ced, nientemeno che i resti di due edifici sovrapposti: il più antico, in graticcio, cioè argilla mescolata a legno, del XII secolo con numerosi focolari a indizio di un’intensa attività produttiva; e l’altro, quello rinascimentale, in muratura, ricoperto da una pavimentazione in lastre di pietra.
Municipio delle meraviglie, dunque. Almeno a guardarlo con gli occhi dei cittadini, del sindaco e, soprattutto, della Soprintendenza archeologica che ha assunto la direzione scientifica degli scavi condotti da otto esperti della ditta Archeotest, capitanata dal gradese Dario Gaddi. Ma anche municipio delle missioni - se non impossibili - senz’altro complicate, se la si pondera dal punto di vista del progettista Edino Valcovich, incaricato della messa in sicurezza dell’edificio comunale. Perché la situazione di precarietà in cui versa il municipio è manifesta. «L’ala più recente del Comune sta ruotando e si sta affossando, trascinando con sè la parte più solida dell’edificio, costruita nel 1860».
Le voragini aperte dagli archeologi per esaminare le diverse stratificazioni complicano il quadro («Un’operazione complessa all’interno di un’operazione altrettanto complessa»). E sono rese possibili anche grazie alla puntellatura di 294 micro-pali agganciati direttamente alla roccia, che fungono da robusto rinforzo dell’edificio, svuotato di mura e parte dei piani. Un inciso: proprio nell’inserimento di una di queste aste d’acciaio i tecnici hanno colpito la punta dell’ormai ribattezzato “spadone di Monfalcone”, in realtà «una spada bastarda», cioè un’arma bianca a una mano e mezza, come spiegato dall’oplologo Andrea Janesch, alla conferenza stampa all’ex Pretura.
Il futuro dei lavori non si presenta dunque facile: c’è già un ritardo di oltre due mesi sul cronoprogramma, perché il primo lotto del municipio non può proseguire finchè le indagini archeologiche non si chiudono. E una data, la funzionaria della Soprintendenza Marta Novello lo ha detto chiaro e tondo, ancora non c’è. Valcovich ha già fatto il conto della serva: lo scavo archeologico in questo contesto costa 2mila euro al giorno. E ovviamente, pur consapevole della preziosità dei reperti per la storia cittadina («È un’emozione quotidiana»), auspica che la campagna si possa concludere in un breve lasso, magari un mese.
In ballo c’è però la memoria di Monfalcone, la potenzialità attrattiva di quei reperti così rari: solo il rinvenimento della spada rappresenta un unicum in Italia e nel nord-Europa. Tant’è che il sindaco Silvia Altran intende subito perorare la causa a Roma: «Quanto rinvenuto, di proprietà dello Stato, deve ritornare dove è stato trovato, a Monfalcone. Siamo già in trattativa coi Beni culturali». Attualmente i reperti sono in restauro nel laboratorio della Soprintendenza.
«Vogliamo capire - ha proseguito - come valorizzare al meglio le cose fin qui rinvenute. Vorremmo modificare gli spazi per presentarle al pubblico e godercele». Si sta lavorando, insomma, per mantenere visibili le mura. Per esempio con una pavimentazione in vetro, che custodisca la cinta sorta durante i conflitti tra Patriarcato e Repubblica di Venezia e consenta anche una fruizione pubblica delle testimonianze sulla Monfalcone che fu. I resti scoperti inducono a ritenere che un’intero pezzo di città sia rimasto celato là sotto per secoli, sconosciuto ai più. Ora si tratta di far convivere il maquillage del municipio con le sue importanti emergenze archeologiche.
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