Movida violenta e assembramenti: così a Trieste il popolo della notte ha già dimenticato mascherine e distanze

TRIESTE Pugni, calci, cinghiate in una rissa tra dieci giovanissimi. I tavolini di un locale gettati a terra e distrutti. La porta di un museo divelta. Nel weekend appena passato la movida a Trieste si è scoperta improvvisamente violenta. Un’escalation di intemperanze che va al di là del rispetto delle norme antiCovid e pone un serio problema di ordine pubblico, come denunciano alcuni esercenti, pronti a chiedere maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine. Una situazione che si somma alle troppe persone assembrate senza rispettare le misure anti-contagio e che non poteva quindi non mettere in allarme la Regione Fvg e le autorità sanitarie. Tanto che l'assessore regionale Roberti ha ora invocato il piano che prevede una sorta di numero chiuso nei luoghi dei ritrovi, con tanto di transenne e vigilanti agli ingressi.
La fase 2 a Trieste non è iniziata con il piede giusto: già nel primo weekend post lockdown, nonostante l’appello alla responsabilità da parte delle autorità, i numeri erano stati decisamente poco confortanti: il weekend si era chiuso con quattro sanzioni ad altrettanti locali che non avevano rispettato le disposizioni anti-Covid, in particolare nell’area di via Torino e nelle piazze Barbacan e Venezia. In barba ai controlli, con il calare della notte, in alcune zone del centro si erano da subito formati assembramenti di persone, come se l’emergenza coronavirus e il lockdown non avessero lasciato alcuna traccia nella memoria. Con il passare delle ore al centralino della Questura erano giunte oltre cento telefonate provenienti da varie zone della città, sia per segnalare assembramenti, sia per altre richieste di intervento.
Gli uomini di Polizia di Stato, Polizia locale e Carabinieri erano intervenuti per bloccare comportamenti indisciplinati degli avventori, alcuni dei quali avevano manifestato particolare insofferenza e non poca intolleranza per i controlli. Il weekend successivo la situazione è precipitata: il venerdì è stato segnato da violenze in alcune delle zone simbolo della movida: piazza Venezia, via Cellini, via Lazzaretto Vecchio, via San Sebastiano e via Diaz.
Le botte da orbi volate in centro hanno quindi acceso un ulteriore faro sulla cosiddetta movida e sulle conseguenze che la mancanza di autocontrollo di una parte dei clienti potrebbe avere nel far risalire la curva dei contagi.
Dopo la rissa scoppiata venerdì notte nei pressi di via Torino e gli eccessi registrati in altre zone calde del centro di Trieste, l’assessore regionale alla Sicurezza ed ex vicesindaco Pierpaolo Roberti ha quindi invocato quelle regole rigorose che il sindaco Roberto Dipiazza solo tre giorni fa aveva detto di non ritenere necessarie nel corso del tavolo sulla sicurezza coordinato dalla Prefettura. Dopo quanto accaduto, però, il Municipio ha deciso di abbandonare la linea del laissez faire e optare per appoggiare il piano che gli stessi esercenti della zona avevano proposto, ma che Dipiazza aveva ritenuto superfluo per non introdurre nuovi controlli senza aver prima fatto un test sul comportamento dei cittadini.
Se prima, però, la questione riguardava soltanto l’assenza dell’ormai famigerato distanziamento sociale, l’abitudine a tenere la mascherina sul mento per sorseggiare il gin tonic e le multe ai bar, ora l’attenzione si è spostata sugli aspetti di ordine pubblico.
In una notte, non c’è stata infatti solo la rissa tra una decina di ragazzini (italiani) nei pressi di via Torino e piazza Venezia, ma pure una zuffa tra pakistani nei pressi della stazione e un’altra colluttazione tra giovanissimi nel cuore di Cavana, con tanto di porta del Museo d’arte orientale divelta.
La linea del Comune quindi è mutata,, come preannunciato dal vicesindaco e assessore alla Sicurezza Paolo Polidori: «Questa settimana si è voluta testare la responsabilizzazione degli utenti, che per qualche cretino evidentemente non c’è. Non si possono criminalizzare tutti gli altri ma serve prevenzione e alla prossima riunione del Comitato cercheremo la quadra sul piano degli esercenti, prima di prendere provvedimenti più drastici, perché non vogliamo arrivare alla chiusura anticipata dei locali».
Intanto il prefetto di Trieste Valerio Valenti sta monitorando l’evolversi della situazione. Per ora, però, non intende rafforzare ulteriormente i pattugliamenti nelle zone più calde. «Sono singoli episodi – osserva – parliamo di ragazzi un po’ alticci che sono andati fuori dalle righe. È l’ansia da divertimento post-Covid che può sfociare in qualche abuso. Non ci vedo allarme. Ed è prematuro prendere altre iniziative».
La questione sarà affrontata nel prossimo Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, atteso questa settimana, di cui fanno parte le forze di polizia e il Comune. All’ordine del giorno, più che le risse, figura la questione “movida”. Come contenere gli assembramenti in questa “fase 2” di emergenza sanitaria? C’era una proposta concreta, presentata dalla Fipe alle istituzioni sulla base di un piano predisposto da Tommaso Centazzo, gestore di una discoteca triestina e referente commerciale della “Securfox” srl di Ferrara.
Il progetto, concordato con gli esercenti di via Torino (disponibili a farsi carico delle spese), prevedeva la creazione di un perimetro circoscritto tra piazza Hortis, via Diaz e via Cadorna. Una zona delimitata da transenne e con la presenza degli addetti al controllo ingressi. Un modo per contingentare gli accessi a via Torino, così da evitare assembramenti attorno ai locali.
Il piano, preparato nelle scorse settimane quando i divieti erano ben più rigidi, era stato pensato per una rimodulazione progressiva in base all’evoluzione dei contagi. Tra i suggerimenti figurava, ad esempio, anche il controllo della temperatura a ciascun avventore. Un’ipotesi, questa, scartata non appena le maglie delle limitazioni si sono via via allargate. Il progetto però, come noto, è stato bocciato nel suo insieme da Roberto Dipiazza, contrario a interventi specifici anti movida. È invece piaciuto al prefetto che intende discuterne ancora con il Comune. «Faremo un ragionamento con il municipio – annuncia – perché io sono d’accordo per principio a introdurre misure ad hoc in grado di regolare gli affollamenti. La proposta della Fipe è buona».
Il sabato sera non si sono registrate risse o altri episodi violenti, come era successo venerdì. Ma la maggior parte delle persone erano molto vicine l’una all’altra, in molti casi con la mascherina abbassata, senza però dover giustificare per forza questa mossa con la scusa della bibita o della sigaretta in mano. E non c’era alcun presidio delle forze dell’ordine, che non hanno avuto l’ordine, per questo weekend, di compiere un servizio dedicato di monitoraggio nelle zone della movida.
Ma il popolo della movida, evidentemente, da solo non riesce a regolarsi. E i titolari dei locali, lo dicono gli stessi clienti, «non possono diventare sceriffi né rischiare di essere multati» proprio perché non riescono a gestire nel proprio dehors e negli immediati paraggi i trasgressori. «Io non penso sia giusto che un gestore debba fare il vigile per far rispettare l’ordine pubblico», sostiene Kristinaa un tavolino: «Magari il cliente ha bevuto troppo e il titolare si prende pure una botta in testa». «Ci vuole sicuramente molta attenzione - le fa eco Claudia - ma al contempo non si deve creare un senso di panico, bensì di voglia di vivere».
La situazione senza controllo di sabato sera fa arrabbiare però non poco chi, invece, le regole le deve rispettare eccome, e non può fare finta che l’era Covid sia soltanto un vecchio ricordo. Parliamo ad esempio dei ristoratori fuori dal giro movida e dei gestori degli stabilimenti balneari. «Ben venga che la gente lavori, però siamo preoccupati, perché se i contagi aumentano, andiamo di mezzo tutti e chiudiamo», viene fatto osservare dal ristorante Alla Sorgente: «Nelle aree della movida si potrebbero individuare nuovi strumenti di distanziamento, ad esempio disegnando a terra delle aree apposite, come facciamo noi i distanziamenti nei ristoranti. Dico questo perché mi metto anche nei panni anche dei giovani, ho quattro figli adolescenti, che sono stati anche troppo bravi a stare a casa per tutto questo periodo».
«Ci vuole la prevenzione, ma non l’accanimento», afferma a propria volta Alexandros Delithanassis del San Marco: «L’importante è che dopo non scatti di nuovo un lockdown a causa della movida eccessiva, anche se ora la cosa più preoccupante mi sembrano le risse». «C’è una gran confusione, purtroppo», sottolinea Robi Surian dell’Osteria di mare alla Volig: «Le regole cambiano in continuazione. Io comunque ho tutte le sedute distanziate di un metro l’una dall’altra. Nei tavoli in cui stavano 8 persone, ora ce ne stanno tre. Da 28 coperti, sono passato a 14».
A esternare la propria rabbia nei confronti di «un sistema Italia che fa le leggi e poi non le fa rispettare a tutti» è Alex Benvenuti, che attraverso Magesta gestisce gli stabilimenti di Grignano 1 e 2: «Se leggi ci sono, devono essere fatte rispettare. Quindi mi chiedo, perché le forze dell’ordine non le fanno rispettare e perché la politica dichiara che bisogna essere tolleranti? Allora modifichiamo le leggi, cosicché siano valide per tutti. Noi siamo abituati a essere controllati settimanalmente. E poi le motovedette (della Capitaneria, ndr) transitano quotidianamente con i binocoli».
Della stessa opinione anche Marco Salviato, delegato provinciale del Sindacato balneari e concessionario del bagno San Rocco di Muggia: «Se tutti facciamo il nostro dovere, probabilmente avremo un futuro, ma se poi la maggior parte non si attiene alle regole poi a pagarne saranno tutti». «Ci sono alcuni ragazzi che andrebbero controllati e fermati, ed è una richiesta che penso sia condivisa dai gestori stessi», conclude Cristina Cecchini, presidente della cooperativa Croce del Sud, che gestisce lo stabilimento Ausonia, che non ospiterà per quest’anno alcuna iniziativa serale: «Ci vogliono più controlli per evitare che una zona finisca in balia solo dei “cattivi”. Chi di competenza deve prendersi le sue responsabilità».
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