Morto sotto i ferri per un intervento al cuore, chiesti tre milioni

La famiglia di Geromet fa causa all’Azienda ospedaliera e all’équipe medica
Chirurghi al lavoro in sala operatoria
Chirurghi al lavoro in sala operatoria

Quasi 3,3 milioni di euro. È questo il prezzo del maxirisarcimento chiesto dalla famiglia per la morte di Franco Geromet, 48 anni, l’uomo originario di Staranzano deceduto nella sala operatoria di Cardiochirurgia a Cattinara il 18 agosto dello scorso anno.

Nel primo atto formale che anticipa la causa civile vengono citati l’Azienda ospedaliero universitaria e i componenti dell’équipe che quel giorno ha operato Geromet. Si tratta dei chirurghi Elisabetta Rauber e Alessandro Moncada, dell’anestesista Enrico Michelone e dei tecnici Elena Maghet, Jadranka Jankovic e Francesco Sasso. Ad avviare il procedimento civilistico parallelo a quello penale sono stati la convivente di Geromet, Luana Miani assieme ai due figli tramite l’avvocato Emanuele Locatelli.

La premessa della richiesta del maxirisarcimento fa riferimento alle conclusioni della perizia del medico legale Fulvio Costantinides, che era stato incaricato dal pm Matteo Tripani subito dopo la tragica morte del paziente. Costantinides ha scritto che il decesso «è da attribuirsi ad edema cerebrale ed edema polmonare acuto da riportare a loro volta ad acuta ipossia secondaria ad errato posizionamento delle cannule arteriosa e venosa della macchina cuore polmone».

Morto in sala operatoria: per il pm fu errore umano

In particolare dai primi accertamenti era emerso che all’avvio della macchina cuore polmoni si era attivata «una inversione dei flussi ematici arterioso e venoso. Il circuito venoso - si legge nella relazione - pompava invece che drenare il sangue per la sua successiva ossigenazione e trasmissione al circuito arterioso e il circuito arterioso, aspirava invece che sospingere verso l’aorta il refluo reossigenato».

Nello scorso dicembre il gip Giorgio Nicoli su istanza del pm Matteo Tripani - nella forma dell'incidente probatorio, un atto non ripetibile e utilizzabile in dibattimento - ha disposto una nuova perizia che è stata affidata al cardiochirurgo padovano Maurizio Rubino. Sarà depositata tra un mese.

Lo scopo perseguito dal pm è stato quello non solo di verificare se il circuito per la circolazione extracorporea (al quale era collegato il paziente) sia stato impiegato correttamente, ma anche di stabilire «per ciascun componente dell’équipe chirurgica se siano ravvisabili comportamenti attivi o omissivi contrari alle regole della professione o comunque non conformi a diligenza, prudenza, perizia, sia durante la fase di allestimento e utilizzo dell’apparecchiatura per la circolazione extracorporea che nella successiva fase dell'emergenza conseguente alla accertata progressiva desaturazione cerebrale».

Ma torniamo alla richiesta di maxirisarcimento che è stata notificata nei giorni scorsi. Le parti (ovvero l’Azienda ospedaliero universitaria e i componenti dell’équipe che quel giorno ha operato Geromet) sono state formalmente invitate a discutere della richiesta della cifra complessiva esattamente di 3.288.308 euro davanti a un funzionario conciliatore dell’organismo di mediazione che ha sede in via San Nicolò 15.

L’operazione diventata tragedia, come detto, porta la data dello scorso 18 agosto. Franco Geromet era entrato nella sala operatoria di Cardiochirurgia dell’ospedale di Cattinara per effettuare un intervento di applicazione di un by-pass aorto- coronarico. Qualcosa, nella fase preliminare dell’operazione definita di routine, è andato per il verso sbagliato. All’improvviso si è verificato un problema tecnico relativo alla connessione delle cannule di collegamento della macchina cuore-polmoni al sistema circolatorio del paziente.

L’intervento in anestesia totale prevedeva l’attivazione del macchinario. Ma l’anossia si è rivelata fatale. È successo proprio mentre i chirurghi stavano iniziando a incidere il torace. L’intervento vero e proprio poi non ha potuto essere effettuato per complicanze gravi insorte nella fase preliminare. E non c’è stato più nulla da fare.

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