Morto Petrosino, investigatore col sorriso

Sapeva guardare, intuire, scegliere, capire, fissare nella memoria ogni dettaglio, ogni sfumatura. Questo è stato Sergio Petrosino, l'ex capo della Squadra Mobile e della Digos morto ieri all'alba all'Ospedale di Cattinara dopo una lunga malattia che lo aveva costretto per buona parte della giornata a vivere accanto a una bombola di ossigeno. Respirava a fatica da tempo e sapeva, una volta ricoverato, che il suo tempo terreno stava per esaurirsi.
Petrosino, nato 76 anni fa a Roma, compagno di corso del commissario Luigi Calabresi assassinato a Milano nel 1972. Era arrivato a Trieste nei primi anni Sessanta e si era "infiltrato" come studente nelle fila della sinistra di classe. Lui iscritto alla gioventù liberale, aveva conquistato la fiducia di leader studenteschi e sindacali. Nel 1966 durante la rivolta della città innescata dalla chiusura del cantiere San Marco la "copertura" era caduta. Uno studente che lo conosceva bene, era stato fermato con tanti altri manifestanti. Gli agenti lo avevano buttato su una jeep della Celere dove in jeans e maglione c'era Petrosino. «Hanno beccato anche te», aveva esclamato lo studente che lo riteneva un "compagno". «A dire il vero sono io che ti ho preso», aveva risposto Petrosino. Quest’ironia racconta bene dell'animo del dirigente di polizia. Poche ore dopo tutti a Trieste avevano saputo chi fosse quel giovane magro, dinoccolato, con grossi occhiali e stempiatura incipiente. Ma i rapporti intessuti con la sinistra e con altri ambienti triestini non ne avevano risentito. Era un uomo intelligente, capace e colto. Tutti lo avevano capito e non avevano voluto rinunciare alla sua amicizia e disponibilità umana. Un cocker spaniel che lo seguiva in ufficio testimoniava del suo rispetto per gli animali.
Ha riorganizzato la Mobile dopo l'uscita di scena del suo predecessore Dino Morandini; è stato il "maestro" d'indagini dell'attuale questore Giuseppe Padulano. Ha valorizzato marescialli e ispettori facendone degli investigatori. Ha difeso i propri collaboratori e le proprie indagini fino al limite, pagando spesso di persona come accadde in un'inchiesta su un traffico di droga da Ravenna quando, prendendo un clamoroso "granchio", un'altra forza di polizia circondò la Questura per interrogarlo.
Si potrebbe continuare con gli anni di piombo quando Petrosino fu chiamato a reggere la Digos, "terremotata" dall'omicidio in via Giulia di Pietro Maria Greco. Era il 1985 e fino al 1990 ebbe la responsabilità dell'ex ufficio politico di Trieste sulla cui attività, anni prima, aveva puntato molto il questore Umberto Federico d'Amato. L'ultima fase della vita professionale di Petrosino era stata segnata dall'affaire "veleni in Questura" e dalle ripercussioni a livello di inchieste giudiziarie. Aveva tentato una mediazione, aveva richiamato molti alle proprie responsabilità istituzionali avendo chiaro che il confronto sarebbe sfociato in lotta al massacro. Poi altri incarichi, la pensione a 62 anni, la malattia.
Claudio Ernè
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