Morto Pace, combattè la mafia dell’immigrazione clandestina
Se n’è andato a 68 anni Nicola Maria Pace. Per undici anni ha retto la procura della Repubblica. È morto l’altro giorno a Filiano, un piccolo centro in provincia di Potenza, dove era nato nel 1944. E in poche ore la notizia della scomparsa del magistrato si è diffusa a palazzo di giustizia suscitando grande commozione.
Nicola Maria Pace si era insediato a Trieste il 19 giugno 1997, mettendo fine a una «sede vacante» che si prolungava dal marzo di due anni prima quando era andato in pensione il precedente procuratore Salvatore Campisi. E da quel giorno Pace ha gestito direttamente le indagini più clamorose e più difficili. Sue caratteristiche fondamentali ed essenziali sono state i rapporti cordiali, il profondo rispetto per tutti, la battuta pronta e un grande interesse per le nuove criminalità. Ma il suo è stato, soprattutto, un impegno costante e determinato per la Giustizia.
Il primo lavoro era stato quello della lotta all’immigrazione clandestina. L'idea sua e del sostituto Federico Frezza nella lotta all'immigrazione clandestina col tempo si è dimostrata vincente. Infatti la sua organizzazione del pool di magistrati (oltre a Frezza ne facevano parte Giorgio Milillo, Raffaele Tito e Luca Fadda), il suo modello, con gli anni è diventato routine in Italia e all'Estero. Nel 2001, quando i clandestini venivano subito espulsi senza essere neanche interrogati, Pace aveva impiantato un sistema tarato sul traffico di persone in base a studi elaborati al Dipartimento di economia dell'Università di Chicago. Puntava alle nuove mafie che inevitabilmente in quegli anni avevano «toccato» e soprattutto coinvolto Trieste, centro strategico per tutti i flussi migratori provenienti dall'Est.
Sulla criminologia della migrazioni Nicola Maria Pace ha maturato proprio a Trieste esperienze straordinarie «al punto - sono parole tratte da un’intervista al magistrato - «da avere promosso attività didattiche per i colleghi europei e da aver vinto con un mio saggio, il “Premio Internazionale Falcone Borsellino” per la ricerca in campo criminologico assegnato dall’Istituto di Diritto comparato dell’Università di Bologna». Portano la sua firma non solo le inchieste più difficili ma anche una particolare organizzazione della procura in gruppi di competenze per quanto concerne i reati transnazionali. Ma a Trieste il suo nome è collegato all’inchiesta su Unabomber, misterioso attentatore che ha agito tra il Friuli e il Veneto e su cui ha indagato la Procura al termine di un lungo “confronto” con quella di Venezia.
Nicola Maria Pace è stato anche componente della Commissione Ecomafie presso il Ministero dell’Ambiente, su incarico del Consiglio Superiore della Magistratura formatore nei corsi per i magistrati inquirenti italiani e stranieri, presso l’Istituto Superiore di Polizia di Roma e autore di numerosi saggi. È ricordato per essersi distinto, sopratutto, durante la permanenza alla guida della Procura di Matera, nelle indagini su traffici di rifiuti nucleari e a tutela dell’ambiente.
Federico Frezza, parla del suo ex capo trattenendo a stento dolore e la commozione: «Mi ha insegnato molto e gliene sono grato. Aveva una visione che gli consentiva di vedere lontano, di capire profondamente fatti e situazioni. Durante la sua guida è riuscito a trarre il meglio dai suoi sostituti. Delle persone cercava innanzitutto di valutare le qualità morali». Ricorda un impiegata che da molti anni lavora nel palazzo: «Per me era come un padre, burbero ma di grande bontà. Trieste è sempre rimasta nel suo cuore. Il suo desiderio era quello di tornare un giorno. Qui aveva anche comprato una casa e spesso si fermava in città».
Il giudice Raffaele Morvay ricorda la «sua grande umanità, il buon senso e l’equilibrio», doti che hanno caratterizzato i rapporti sia con i magistrati, ma anche e soprattutto con Trieste che è diventata la sua seconda città. Ricorda con affetto Pace sportivo quando come portiere nella squadra del Tribunale rendeva la vita dura agli attaccanti.
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