Morto in carcere a Trieste: un solo agente in turno la notte della tragedia

Organici e procedure di assistenza sanitaria sotto tiro dopo la morte in cella di Andrea Cesar. I sindacati di polizia: «Impossibile controllare tutto»

TRIESTE. Un solo poliziotto chiamato a sorvegliare una cinquantina di detenuti. C’era un unico agente della Penitenziaria in servizio al secondo piano del Coroneo nella notte tra martedì e mercoledì, quando Andrea Cesar, 36 anni, è stato trovato morto. Vittima, secondo l’ipotesi al momento più accreditata dalla Procura, di un’overdose di psicofarmaci. Un decesso che gli addetti alla sorveglianza, visti anche gli organici ridotti ai minimi termini, non sono riusciti a scongiurare. «Quella sera - spiega Alessandro Penna, segretario provinciale della Uil-Penitenziari - uno dei due agenti del turno notturno era stato mandato in ospedale per piantonare un detenuto, e l’altro era rimasto da solo in carcere».

 

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La morte di Andrea Cesar, però, non chiama in causa solo gli organici inadeguati del penitenziario ma anche i meccanismi dell’assistenza medica dietro alle sbarre. «Fino a qualche anno fa il servizio nelle carceri era gestito direttamente dalla cosiddetta Sanità penitenziaria - prosegue Penna -. Da quando sono subentrate le Aziende sanitarie, invece, non abbiamo più competenze. Noi siamo solo osservatori a tutela degli operatori esterni (medici e infermieri, ndr) che operano nell’istituto. Non possiamo sapere nemmeno di che patologia soffre un detenuto. Tutto per ragioni di privacy».

 

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Saranno le indagini avviate subito dopo la tragedia dal pm Federico Frezza a fare luce sulle cause della morte improvvisa. Essenziale l’esito dell’autopsia eseguita venerdì mattina. I risultati sono attesi nei prossimi giorni.

Intanto gli amici non riescono a capacitarsi di quanto successo: «Era un ragazzo normalissimo - ricorda il suo amico Alessandro Flora - pur con questi problemi che si portava dietro da anni e anni. Troppi. Non si meritava di morire in carcere, era una persona fantastica». «Non penso possa essere stato un atto inconsulto, Andrea era certamente stufo di quel problema che nessuno riusciva a curargli - dice Manuel Farfoglia, 26 anni, un altro amico conosciuto tre anni fa - ma non tanto da fare una sciocchezza come suicidarsi, amava la vita».

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