Morto a Trieste l’imprenditore Maneschi, al top nel mondo dei porti e della logistica

Il decesso nella sua casa. Avrebbe compiuto 79 anni a settembre. Era a capo di To Delta, Italia Marittima e Greensisam
Foto Bruni 25.06.13 Pierluigi Maneschi-Trieste Terminal
Foto Bruni 25.06.13 Pierluigi Maneschi-Trieste Terminal

TRIESTE Pierluigi Maneschi, figura storica del settore marittimo, riconosciuta a livello internazionale, è morto nella sua casa di Trieste, a palazzo Ralli, sede dell’associazione industriali. Classe 1940, a settembre avrebbe compiuto 79 anni. Malato da tempo, aveva combattuto in silenzio, con il suo carattere riservato e la forza di presentarsi comunque ogni giorno in ufficio al Molo Settimo.

Il giornalista genovese, già inviato del Sole 24 Ore, Bruno Dardani, che lo conosceva da oltre trent’anni, ha ricevuto ieri mattina una telefonata dal Medio Oriente di Antonio Maneschi, il figlio. La notizia si è diffusa in fretta, la morte risalirebbe alle ore della notte tra giovedì e venerdì. Senza avere avuto alle spalle una famiglia né danarosa né del settore, Maneschi è diventato uno dei più importanti imprenditori nel mondo dei trasporti marittimi, della logistica e della portualità italiana. A capo di tre società che operano prevalentemente in ambito marittimo – la capogruppo T.O. Delta, che controlla assieme a Msc la Trieste Marine Terminal, che gestisce il Molo Settimo nel porto di Trieste, la Italia Marittima e la Greensisam –, il manager toscano è stato protagonista di operazioni rivoluzionarie: dal lancio del più grande terminal container italiano, quello di Voltri a Genova, alla privatizzazione della storica compagnia pubblica, il Lloyd Triestino del gruppo Finmare. Un uomo che anticipava i tempi. Maneschi ha puntato con forza sui container, diventando armatore e al tempo stesso gestore di grandi terminal portuali e di centri di ingegneria logistica.

Con il gruppo Sisam ha costruito quella che a oggi è considerata l’unica multinazionale italiana dello shipping. E sempre in anticipo, ben prima dei recenti contatti del governo con i vertici cinesi, aveva guardato a Trieste come strategica sulla Via della seta. Ampliando il terminal, era la sua intuizione, si sarebbe consolidata una base logistica per tutto l’Est Europa. Nella stessa ottica si era occupato anche della zona franca. «Un uomo del popolo», dice chi l’ha conosciuto da vicino. Lo chiamavano «livornese», ma non amava le etichette. Era nato tra l’altro in provincia di Massa Carrara, a Villafranca in Lunigiana, terra di teste calde. Appassionato di tennis, aveva giocato a lungo. «Trasformava ogni partita in una finale di Wimbledon», racconta Dardani. Poi si era dato al golf.

Trieste era diventata la sua seconda casa. Negli ultimi mesi vi risiedeva costantemente per portare avanti gli ultimi progetti. Sempre in silenzio, come da carattere. Riservato, ma non freddo, Maneschi «coltivava il valore dell’amicizia», ricorda il presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino, che aveva un appuntamento con lui martedì prossimo.

La morte dell’imprenditore, anche per il vigore con cui resisteva alla malattia, ha colto tanti di sorpresa. Michela Nardulli, storica collaboratrice, come altre sei-sette persone di una vera squadra di “legionari”, è subito partita da Livorno per raggiungere Trieste. Maneschi lascia i figli Antonio e Susanna, la moglie Ulrike con la figlia Stefanie. —


 

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