Morto a Monfalcone il maresciallo Razzini che indagò sulle Br
MONFALCONE Si definiva più un investigatore che un carabiniere Giuseppe Razzini, arresosi martedì, a 93 anni, al Covid-19 ma sofferente di diverse patologie. Razzini, masciallo maggiore, erede di una dinastia di militari e carabinieri e padre dell’ex consigliere regionale Federico, era stato ricoverato nel Pronto soccorso di Monfalcone, dove si è spento. Una vita nell’Arma, a Parma e Verona, a Monfalcone guida la sezione politica del nucleo operativo.
Nato a Chiavari, da una famiglia originaria della Lunigiana, Razzini, che da ragazzo era stato partigiano bianco sui monti di Sarzana. Viene decorato per i soccorsi prestati durante l’alluvione del 1966, mentre in Friuli Venezia Giulia, dov’era arrivato nel 1970, si occupa soprattutto di indagini sul terrorismo rosso. «Facevo, finché era possibile, soprattutto prevenzione», amava raccontare ai figli Federico e Maria Teresa. «Quando scoprivamo che ragazzi si stavano avvicinando a quegli ambienti – spiegava – li prendevo faccia a faccia o andavo dai genitori e dicevo: tuo figlio è un bravo ragazzo, ma frequenta brutti giri, fagli capire che rischia di rovinarsi la vita, sua e di altri». Nel ’76 il generale Dalla Chiesa lo vuole portare a Torino nel nucleo speciale antiterrorismo, ma Razzini declina gentilmente l’offerta. «Non volevo sballottare sempre la famiglia. Stavo bene a Monfalcone». Assieme ai colleghi (anche del Sisde) scopre il covo del Br Cesare Di Lenardo in via Duca d’Aosta (autore del sequestro Dozier), ma, quando fanno irruzione, i carabinieri scoprono che il terrorista rosso se ne era appena andato. «Avvertito da una talpa, che aveva in cantieri e che mi aveva visto interrogare gente sul suo conto», ricordava Razzini. Subito dopo la pensione, quando poteva finalmente dedicarsi alle sue passioni, la musica classica e l’antiquariato, nei primi anni ’90, arriva l’indagine sul depistaggio della strage di Peteano. Il pm Felice Casson lo fa arrestare. Razzini viene scagionato con formula piena e a sua volta denuncia il magistrato e poi politico veneziano, che sarà assolto, ma “censurato”, dal tribunale di Trieste. «La vicenda lo ha segnato però in modo profondo – dice il figlio Federico – e da lì una serie di malattie cardiache e oncologiche infine neurologiche lo tormentano e minano». Resiste a tutte, curato dall’affetto dei figli, della moglie Rita, del nipote Cristiano. Tranne all’ultima. –
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