Morto a 91 anni l’ex industriale del caffè Primo Rovis

É morto ieri verso le 14, all’età di 91 anni, l’imprenditore Primo Rovis. Da un mese lottava contro la morte in un reparto dell’ospedale di Cattinara per un’infezione polmonare. Lascia la moglie Sunilce, le figlie Cristina e Gilda e i suoi adorati nipoti.
Una valigia di cartone con due camicie e un paio di calzini bucati dentro. È tutto quello che si era portato con sè quando nel 1947 aveva lasciato da esule Gimino d’Istria per andare incontro a una miniera d’oro racchiusa in un chicco di caffè. Questa storia, la sua storia, praticamente una favola, era solito raccontarla a tutti quelli che vedeva per la prima volta. Era così orgoglioso della vita che era riuscito a regalarsi che non riusciva a trattenersi. Partiva come un fiume in piena ed era difficile fermarlo. Ma piccoli e grandi spicchi (o chicchi se vogliamo) di questa sua vita fortunata, che lo aveva portato a diventare negli Anni Ottanta il più ricco contribuente di Trieste ma anche tra i più facoltosi d’Italia davanti all’epoca anche a Berlusconi e Pirelli, li aveva voluti dividere con gli altri. «Trovo sia giusto destinare una parte dei miei guadagni alla collettività perchè io so cosa significa essere poveri», diceva spesso. Bisognava ristrutturare la cardiochirurgia e non c’erano soldi pubbici? Bisognava acquistare costose apparecchiature sanitarie? Serviva una nuova sede per gli anziani della Pro Senectute? Ci pensava lui. In un attimo staccava un assegno e lo firmava. Non era capace di dire no neanche a tutte quelle persone in difficoltà che ogni giorno bussavano alla porta del suo ufficio. Piuttosto che negare un aiuto preferiva essere avaro con sè stesso. Più facilmente storceva il naso quando c’era da spendere per gli arredi della sua casa o per restaurare l’ufficio. Primo Rovis, il Commendatore, era fatto così. Generoso come pochi, ma anche un carattere come una pietra dura di Gimino d’Istria. Non sempre una persona facile. Con un temperamento forte, a volte spigoloso, battagliero e senza peli sulla lingua. «Ha lottato con determinazione anche questa volta fino all’ultimo, come ha fatto sempre in tutta la sua vita», sussurra al telefono la figlia Gilda a poche ore dalla morte.
La città lo ricorda come un imprenditore coraggioso e dal grande intuito. Cremcaffè a Trieste era qualcosa più di un marchio, con quella torrefazione di piazza Goldoni dove c’era sempre gente in terza o quarta fila per bere un espresso o un frappè, un prodotto che Rovis aveva lanciato sul mercato triestino. Nell’attesa tutti si lasciavano ipnotizzare da quel nastro scorrevole che trasportava tazzine e bicchieri in cucina per essere lavati. Una sua invenzione. Ma il suo caffè arrivò anche nelle case delle famiglie dell’ex Jugoslavia grazie al suo intuito di sponsorizzare la squadra di calcio del Rijeka che all’epoca giocava in Coppa Uefa, la Stella Rossa di pallacanestro e il campione di pugilato Mate Parlov. C’erano delle giornate in cui carabinieri e polizia erano costretti a intervenire in piazza Goldoni per mettere un po’ d’ordine tra la ressa di centinaia di clienti d’oltreconfine. Anni d’oro che finirono nel 1989. Rovis aveva capito che un mercato sempre più globalizzato avrebbe finito per fagocitare la sua florida ma piccola azienda di via Pigafetta che aveva mantenuto fino all’ultimo un’impronta familiare. Una impresa dove non c’erano esperti di marketing o ad o responsabili delle risorse umane. Ma una piccola comunità formata da fidati collaboratori dove tutti si chiamavano per nome. Come Fulvio, Gigi e Vinicio, Stelio il tostatore.
Parallelamente alla sua attività di industriale (aveva trasformato il porto di Trieste in uno dei più grandi terminal di caffè del Mediterraneo), Rovis si era avventurato con alterne fortune, fino a farsi del male, sulla scena politica per promuovere un autonomismo che sarebbe servito per svincolarsi dal Friuli che, a suo dire, si prendeva la fetta più grande dei finanziamenti regionali e statali. Un’iniziativa politica che si era concretizzata nell’Associazione “Amare Trieste” e in una petizione firmata da 53mila triestini. Ma la politica l’ha spesso usato e lo ha anche munto facendogli sperperare una montagna di denaro in battaglie perse o in campagne elettorali con promesse quasi mai mantenute. Più vicino al centrodestra, Rovis in realtà non si era mai veramente schierato, era pronto a foraggiare qualsiasi partito disposto a portare avanti la guerra contro Udine. Per la politica aveva una grande passione mal ripagata. Quando arrivava a Trieste il segretario nazionale di un partito lui non perdeva occasione per rincorrerlo e per perorare la causa di Trieste. Fino a pochi anni fa è rimasto in prima linea anche con un’altra sua creatura, l’Associazione “Amici del cuore”, centinaia di soci e tante donazioni.
La sua seconda vita, una volta chiusa la parentesi del caffè, Rovis l’ha dedicata quasi interamente alle pietre, ai minerali pregiati da lui valorizzati e importati in Italia dal Brasile col marchio “Ipanema”. Un’esposizione di respiro internazionale visitata da migliaia di persone negli ultimi vent’anni. Un’attività che gli è valsa una laurea honoris causa dell’università di Mosca in mineralogia. Ne andava fiero e forse è stata l’ultima pietra preziosa di una vita vissuta sempre in prima fila. Come voleva il nome che portava.
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