Morte per annegamento alla Git, l’accusa: «È omicidio colposo»
Secondo il pm Iozzi il decesso nel 2017 di Loretta Mauri poteva essere evitato. Nel mirino la difformità di orario fra l’apertura della spiaggia e il servizio bagnini
Bagnanti sulla spiaggia di Grado, nel mirino della Procura gli orari e il servizio della Git Foto Katia Bonaventura
GRADO Era stata rinvenuta a una settantina di metri dalla battigia, il corpo in posizione prona a filo d’acqua, nella spiaggia principale di Grado. La donna, Loretta Mauri, 76 anni, nata ad Aquileia e residente a Villa Vicentina, quel giorno del 22 giugno 2017 era arrivata di primo mattino, poco dopo le 8, almeno i primi cancelli dello stabilimento balneare erano già aperti al pubblico.
Raggiunto il litorale, aveva deciso di fare una passeggiata. Culminata nella tragedia: verso le 8.50 un bagnante l’aveva avvistata dalla riva, inerme a galleggiare in mare, a neanche mezzo metro di profondità. Era partito l’allarme, alcuni turisti si erano mobilitati ed erano sopraggiunti i bagnini. Ma per la donna non c’era stato nulla da fare. La morte, com’era stato accertato, era stata causata da asfissia da annegamento.
Per questo drammatico evento erano stati indagati l’allora direttore dello stabilimento balneare Sergio Schiavi, nonché l’amministratore delegato della Git. L’ipotesi di accusa contestata dalla Procura di Gorizia è quella di omicidio colposo in concorso. Concluse le indagini, il pubblico ministero Ilaria Iozzi ha formulato la richiesta di rinvio a giudizio, prendendo atto dell’intervenuto decesso di Mauro Bigot, già ad della società Grado Impianti Turistici.
L’udienza preliminare, davanti al gup Carlo Isidoro Colombo, al Tribunale di Gorizia, è fissata per il prossimo 28 gennaio. A rappresentare l’ex direttore dello stabilimento è l’avvocato Livio Lippi, i famigliari della defunta si sono costituiti parte civile, con l’avvocato Alberto Tofful.
Tra i profili di colpa si fa riferimento a imprudenza, negligenza e imperizia. In particolare, viene contestata la violazione dell’ordinanza di sicurezza balneare adottata allora dall’Ufficio circondariale marittimo di Grado e dell’ordinanza dirigenziale del Comune. Viene sostenuta l’omessa predisposizione delle misure idonee al fine di evitare la morte della donna. Tutto è ricondotto alla gestione del servizio di salvamento, per il quale, com’era stato disposto dalle ordinanze dell’Ufficio circondariale marittimo e del Comune, è stabilito l’obbligo di copertura per l’intero orario di apertura degli stabilimenti balneari.
Gli operatori del salvataggio, nel caso in questione, prendevano servizio alle 9 del mattino, a fronte comunque della possibilità di accesso alla spiaggia principale già alle 7 attraverso alcuni cancelli, con l’apertura formale di tutti gli ingressi alle 8.50.
Sta quindi nella “differita temporale” tra l’accesso del pubblico al litorale “anticipato” rispetto all’avvio del servizio di salvamento l’omissione di garanzia in ordine alla sicurezza contestato dalla Procura. Il pubblico ministero Iozzi, infatti, sostiene che la coincidenza dell’orario di ingresso con l’attività di sorveglianza e assistenza ai bagnanti avrebbe permesso di individuare la settantaseienne già nei primi momenti di difficoltà, potendo portarla in salvo. La donna aveva raggiunto quindi il litorale gradese tra le 7 e le 8.30, considerato che era stata rinvenuta ormai esanime in mare, a una certa distanza dalla riva, verso le 8.50. Prima dunque dell’avvio del servizio di salvataggio. Allora gli operatori di salvamento erano pure intervenuti con rapidità in soccorso della settantaseienne, essendo già presenti nello stabilimento, nell’accingersi a iniziare l’attività. È chiaro che i dipendenti della Git non hanno alcuna responsabilità in ordine al drammatico evento, essendosi attenuti al servizio orario che era stato predisposto dall’ente gestore del litorale. —
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