Morte del tifoso della Triestina Stefano Furlan, il legale della famiglia: «Oggi non accadrebbe»
un agente della Polizia di Stato: «Quel giorno poca esperienza»
![Renata Furlan da poco scomparsa con alle spalle un manifesto con l’immagine del figlio Stefano Foto Lasorte](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/41434762-87e3-4057-8b27-5f295b355c44/0/01caape6x10004_120907100.webp?f=16%3A9&w=840)
TRIESTE Cosa si intende per giustizia sommaria? A tentare di spiegarlo, nel corso di un incontro organizzato a palazzo Gopcevich dall’Associazione italiana giovani avvocati, è stato Fabio Degiovanni attraverso un fatto di cronaca avvenuto quarant’anni fa a Trieste e conosciuto in tutta Italia e non solo. Degiovanni è un avvocato, oggi residente in Austria e in pensione, che nel 1984 assunse la parte civile nel processo per la morte di Stefano Furlan.
Degiovanni seguì la vicenda giudiziaria – supportando la signora Renata, mamma di Stefano – che portò alla condanna dell’allievo della Polizia di Stato Alessandro Centrone (all’epoca ventenne e coetaneo di Furlan) a un anno di reclusione. Detenzione che non scontò mai in quanto incensurato.
![L’avvocato Fabio Degiovanni Foto Lasorte](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1daf4f2e-f091-4ef4-b294-03fcf60343fb/0/b_avv.webp)
Riannodando il filo dei ricordi e tornando al periodo successivo a Triestina-Udinese del 1984, Degiovanni è tornato a parlare di quel tragico derby di Coppa Italia. Alla morte di Furlan e alla vicenda giudiziaria. «La sentenza fu un po’ addomesticata – dice l’avvocato – perché si parlò di uso legittimo di armi, ma in quell’evento di armi non ne furono usate. Procedimenti di vicende del genere, con situazioni di confusione legate a tumulti, hanno una particolare caratteristica: a volte in buona fede, a causa dell’emotività e a volte in modo malizioso. Le testimonianze non sono mai perfettamente attendibili».
Tra le varie versioni emerse fin da subito, infatti, quella secondo cui Furlan venne sbattuto con il capo contro un muro. «Ipotesi non credibile nei termini prodotti dalla perizia – spiega – che parlava di trauma cranico in regione occipitale». Ecco quindi che la tesi più “sostenibile” è che la lesione fu conseguenza di un avvenimento antecedente, legata probabilmente a una mischia. L’intenzione dell’allievo di Polizia era quella di colpirlo alla spalla «dall’alto in basso, con direzione lievemente obliqua solo che, proprio in quel momento, il ragazzo si era girato, forse per fuggire».
All’epoca non esistevano telefonini, le riprese televisive erano poche e le stesse forze dell’ordine non filmavano eventuali situazioni di pericolo. Ma nel 1984, come ricordato sempre dall’avvocato della famiglia Furlan, anche le forze dell’ordine avevano una preparazione diversa. «Ritengo che l’errore venne commesso alla base – spiega Degiovanni – e fu di tipo organizzativo: alcuni degli agenti presenti quel giorno a Valmaura non erano ancora poliziotti. L’emotività gioca brutti scherzi e quel giorno chi era presente nelle zone attorno allo stadio aveva pochissima esperienza in tema di ordine pubblico. L’8 febbraio 1984 morì Stefano Furlan, ma la stessa sorte poteva accadere a un agente della Polizia. Ecco perché serviva maggiore attenzione».
Da quel giorno, a caro prezzo, il tema della violenza negli stadi è entrato nella legislazione dello Stato. Ma come sottolineato dall’avvocato Massimiliano Della Puppa è stato trattato dal legislatore sempre con decreti legge. A cominciare dalla strage di tifosi juventini allo stadio Heysel, per finire con la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito nel 2014. «Eppure nei codici dove studiamo ci viene detto che ogni modifica alla legge dovrebbe avvenire in modo ben ponderato e non sull’onda di situazioni di emergenza», conclude Della Puppa.
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