Morta a Cattinara e seppellita a Sant’Anna ma la famiglia non lo sa. E scatta l’indagine
TRIESTE Dopo la lapide sbagliata (il figlio che va al cimitero e trova scolpito il proprio nome anziché quello del genitore defunto) e la salma cremata per errore (uno scambio di nomi, può succedere...) Trieste regala un’altra funerea vicenda. Quella della defunta Desanka Felician, un’ottantaseienne residente a Ronchi dei Legionari, morta all’ospedale di Cattinara e poi sepolta all’insaputa della famiglia al campo 32 del cimitero di Sant’Anna.
Cosa è accaduto? Sembra che l’inghippo si sia verificato proprio all’ospedale, dove la signora era stata ricoverata a più riprese: dal 22 maggio al 27 giugno, giorno del decesso. Sono stati i parenti a scoprire, settimane dopo, che la loro cara giaceva a Sant’Anna. Le responsabilità del grottesco incidente sono destinate a finire in un’aula di Tribunale, visto che i familiari si sono rivolti a un legale di fiducia, l’avvocato udinese Gabriele Agrizzi.
Cattinara, dunque. La donna, madre di due figli, entra per la prima volta in ospedale a maggio: le sue condizioni, ma mano passano i giorni, si fanno sempre più serie. E i ricoveri si susseguono. Così come le richieste dei parenti che vorrebbero sapere i motivi degli aggravamenti. Il 24 giugno una figlia presenta il primo esposto alle autorità ospedaliere per conoscere con precisione le condizioni della mamma. Ma l’anziana spira tre giorni dopo, il 27.
Il 25 luglio i parenti preparano un secondo esposto, questa volta proprio per far luce sulle cause del decesso. Ma dalla Direzione sanitaria, stando a quanto riferito dai familiari, non arriva alcuna risposta.
È il 10 settembre quando entra in scena l’avvocato Agrizzi, che chiede di disporre l’autopsia sul corpo dell’anziana. La salma, secondo le informazioni assunte in quei giorni, avrebbe dovuto trovarsi in una cella mortuaria all’interno del nosocomio triestino.
Poi l’amara sorpresa. Il corpo di Desanka Felician era già stato seppellito.
L’Asugi, l’Azienda sanitaria, da parte sua ha fatto sapere di aver rispettato le procedure: di aver cercato inutilmente la famiglia e, trascorso il tempo di permanenza nella cella mortuaria, a un certo punto ha disposto la sepoltura.
Affermazioni che i figli contestano. «La famiglia della donna – ha spiegato l’avvocato Agrizzi – aveva fornito all’ospedale tutti i numeri di telefono e tutti i recapiti. Nel corso dei vari ricoveri era sempre stata vicina alla propria cara e in più occasioni, come documentato, aveva chiesto lumi sulle condizioni di salute e sull’aggravarsi delle stesse. Il decesso, secondo il referto, sarebbe stato causato da choc setticemico, ma nessuno sa come e dove sia stata riportata l’infezione. Gravissimo – ha continuato – è il fatto che della sepoltura si sia saputo solo quando l’autorità giudiziaria aveva prodotto il proprio assenso all’esame autoptico».
Il legale della famiglia intende andare avanti per scoprire la verità e per individuare le responsabilità. «Più degli aspetti giuridici di questa incredibile vicenda – ha evidenziato Agrizzi – qui è la pietas umana che è stata infranta».
La vicenda, nel frattempo, è finita sulla scrivania del pm Matteo Tripani. Serviranno ora quindici giorni di tempo per una valutazione preliminare sulla documentazione sanitaria esistente, in modo da stabilire se procedere all’autopsia, previa riesumazione. A occuparsi della valutazione sarà il professor Fulvio Costantinides, consulente tecnico d’ufficio nominato dallo stesso Tribunale.
L’istanza, l’ennesima, è stata prodotta dal legale della famiglia della donna ronchese scomparsa, cioè sempre l’avvocato Agrizzi, che si avvale della collaborazione del consulente medico Vincenzo De Leo. —
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