Morì precipitando dal tetto Condannati in quattro

Bagnaria Arsa, chiuso il processo per l’infortunio di un operaio avvenuto nel 2011 Nei guai due capi cantiere, un legale rappresentante e un dipendente comunale

BAGNARIA ARSA. Tutti colpevoli, seppure con profili di responsabilità differenti, e tutti condannati a concorrere al risarcimento dei danni ai familiari della vittima. A sette anni dall’infortunio sul lavoro costato la vita a Rinaldo Buonomo, operaio di Scicli (Ragusa) morto all’età di 47 anni, a seguito della caduta dal tetto di un capannone di cui stava ripristinando la copertura, a Sevegliano di Bagnaria Arsa, si è chiuso ieri il processo per omicidio colposo celebrato davanti al giudice monocratico di Udine, Carla Missera.

La pena più alta, pari a un anno e sei mesi di reclusione (a fronte dei 2 anni e mezzo chiesti dal pm), è quella inflitta a Nevio Franzot, 57 anni, di Terzo d’Aquileia, indicato quale direttore di cantiere della “Sai Ambiente srl” di Gradisca d’Isonzo, società di cui anche Buonomo era dipendente (da soli tre giorni) e che la “Edilfognature spa” aveva incaricato di raccogliere lastre di amianto contenenti la copertura di un fabbricato, in via Roma 46, rimaste danneggiate durante i lavori di demolizione di un edificio che quest’ultima stava effettuando, nell’ambito di un appalto per la realizzazione di un parcheggio in via Verdi.

Un anno e quattro mesi la condanna decisa invece per Alberto Fabri, 62, di San Vito al Tagliamento, che della Sai Ambiente era il legale rappresentante, Ambrogio Morandini, 64, di Martignacco, quale direttore tecnico della Edilfognature, e David Pitta, 41, di Cordroipo, coinvolto in quanto responsabile unico del procedimento del Comune di Bagnaria Arsa (il cantiere appaltato alla Edilfognature). A tutti gli imputati sono state riconosciute le attenuanti generiche e concessa la sospensione condizionale della pena. Accogliendo la domanda di risarcimento avanzata dalle parti civili, il giudice li ha inoltre condannati, in solido, al pagamento dei danni, da liquidarsi in separata sede, con provvisionale di 10 mila euro per ciascuno dei fratelli, 20 mila al padre, 30 mila alla figlia (tutti con l’avvocato Matteo Gentile, di Ragusa) e 15 mila alla convivente.

L’incidente era avvenuto il 27 settembre 2011, ma il decesso era sopraggiunto tre giorni dopo, in ospedale. Secondo la ricostruzione della Procura, Buonomo era stato sollevato a quattro metri di altezza, «senza adeguati dispositivi di protezione per le cadute». Assoluzione la richiesta formulata da tutti i difensori. «Franzot era estraneo al ruolo che il pm gli ha cucito addosso – ha sostenuto l’avvocato Elisa Moratti, di Gorizia –: l’organigramma che lo qualifica direttore del cantiere è privo di data e lui stesso ne era all’oscuro». Dal canto suo, l’avvocato Mario Pagnutti ha osservato come l’unica cosa di cui Fabri fosse al corrente era che per terra c’era dell’amianto da raccogliere. «Morandini era il direttore del cantiere pubblico – ha ricordato l’avvocato Flavio Mattiuzzo – e non di quello privato dove si è verificato l’infortunio». Nel rilevare l’«impossibilità giuridica» di contestare alcunché al rup, in assenza di un’imputazione al coordinatore della sicurezza in fase d’esecuzione, l’avvocato Paolo Persello ha escluso che Pitta «fosse a conoscenza dell’intervento della Sai Ambiente». Lette le motivazioni, partiranno i rispettivi appelli.

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