Morì per un’ernia, 5 mesi al medico triestino che la operò a Palmanova

Condannato a Udine il chirurgo Prandi: una sua paziente, sottoposta a un intervento, era deceduta

Operata d’ernia a Palmanova muore dopo l’intervento
Udine. Ospedale Civile Santa Maria della Misericordia. Petrussi Foto Press

UDINE Fu lui, il chirurgo triestino che la operò all’ospedale di Palmanova per un’ernia addominale, a causarne la morte. A commettere, cioè, una «grave imprudenza» durante l’intervento cui Maurizia Cumin, pensionata di 64 anni, di San Giovanni al Natisone, fu sottoposta il 26 aprile 2017 e al quale seguì il trasporto d’urgenza al Santa Maria della Misericordia di Udine, dove la paziente si spense il 4 maggio. A stabilirlo è stato il gup di Udine Emanuele Lazzàro, con la sentenza che ha inflitto a Roberto Prandi, medico triestino di 60 anni, chiamato a rispondere di omicidio colposo, la pena di cinque mesi e 10 giorni di reclusione, con la condizionale.

Nel processo, celebrato con rito abbreviato, il pm Letizia Puppa aveva chiesto la condanna dell’imputato a un anno. Il difensore, l’avvocato Mario Reiner, del foro di Trieste, aveva depositato documentazione attestante l’avvenuto «integrale e satisfattivo» risarcimento del danno alle parti offese e sostenuto, quindi, l’assoluzione del proprio assistito «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato». Ossia, in applicazione dell’articolo 590 sexies del Codice penale, che esclude la punibilità del medico, nel caso in cui abbia operato rispettando le raccomandazioni previste dalle linee guida o in assenza di queste le buone pratiche clinico-assistenziali.

Le indagini erano partite dalla segnalazione che il marito e il figlio della paziente avevano presentato ai carabinieri quando la donna si trovava ancora in terapia intensiva. Quello per l’ernia addominale – avevano sostenuto, attraverso gli avvocati Anna e Gabriele Agrizzi – doveva essere un intervento routinario. E, invece, in sala operatoria qualcosa era andato storto. Era successo durante la manovra d’introduzione del “trocar”, uno strumento chirurgico, nell’addome della paziente. Stando a quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio Lorenzo Desinan, in sede d’incidente probatorio, il chirurgo aveva errato nella «direzione di entrata» dello strumento e agito «con una forza e velocità eccessiva». Finendo così per determinare una lacerazione dell’aorta, che neppure l’immediato trasferimento a Udine era bastato a riparare.

Nell’annunciare come quasi certa l’impugnazione della sentenza, l’avvocato Reiner ha parlato di «norma (la Gelli-Bianco, ndr) evidentemente non rispettata». Tanto più, dopo la sua recente integrazione con una sentenza della Cassazione a sezioni unite, «che ha precisato come, per applicare la fattispecie assolutoria, la gradazione della colpa debba essere lieve». Proprio come nel caso di Prandi, nei confronti del quale – a suo dire – sarebbe stata addebitabile una colpa lieve. E non grave, come invece valutato dal gup di Udine, alle prese con uno dei primi procedimenti in materia di colpa medica dall’entrata in vigore della riforma. L’inchiesta era partita con l’iscrizione sul registro degli indagati di tutti i sanitari, tra chirurghi e anestesisti, che avevano seguito la paziente. Poi, ritenendo escluso qualsiasi profilo di colpa, commissiva od omissiva a loro carico, il pm aveva chiesto e ottenuto dal gip Matteo Carlisi il decreto di archiviazione per tutti, e proceduto nei confronti del solo Prandi. –


 

Riproduzione riservata © Il Piccolo