Morì a Monfalcone per la legionella. La Procura chiede l’archiviazione del caso

Difficile stabilire un legame fra il decesso e la presenza del batterio alle Terme. Le familiari della vittima, il 67enne Giampiero Denti, si oppongono all’istanza
Tiziana Carpinelli

MONFALCONE Il 13 dicembre 2021, all’ospedale San Polo dov’era stato ricoverato in critiche condizioni, Giampiero Denti morì «per un indebolimento delle difese immunitarie dovuto a un’infezione da batterio della legionella pneumophila».

Sposato senza figli, era nato il 23 ottobre del 1954 e aveva 67 primavere alle spalle. A quasi due anni e mezzo da quel decesso e a oltre due dall’avvio di attività investigative, con l’apertura di un fascicolo per l’ipotesi di omicidio colposo, la Procura di Gorizia ha fatto richiesta al Giudice per le indagini preliminari di archiviazione del caso. Tutte e tre le parti offese vi si oppongono. Chiedono il giudizio.

Dell’atto di opposizione dà informazione il penalista Riccardo Cattarini, legale che assiste le due sorelle di Denti, Anna Maria e Irene. Ma la conferma arriva anche dall’avvocata Mariapia Maier, per conto della vedova Rosalina.

L’avvocato Cattarini ha dunque formalizzato al Tribunale di Gorizia l’istanza avverso la richiesta avanzata dalla sostituto Ilaria Iozzi, che dalla primavera 2022 aveva iniziato a seguire la vicenda, a seguito di segnalazione. Un caso rimbalzato anche in Regione, con un dossier pubblicamente esposto dall’assessore alla Salute Riccardo Riccardi scaturito dall’interrogazione dell’allora consigliera pentastellata Ilaria Dal Zovo, con cui la grillina aveva chiesto chiarimenti in merito alla presenza del batterio al polo riabilitativo cittadino, rimasto chiuso per alcune settimane a partire dalla fine del dicembre 2021.

«Secondo la Procura – esordisce Cattarini – non è possibile ricondurre con certezza l’esito fatale alla frequentazione di Denti alle Terme Romane perché è stata riscontrata la presenza, in verità modesta se non decisamente minima, del batterio anche nei rubinetti di casa sua». Domicilio che, proprio a causa del riscontro della legionella, era stato oggetto di accertamenti, da prassi. «E quindi la decisione di non procedere, bensì di far cadere il caso, alla luce di un’asserita impossibilità a rintracciare un nesso di causa ed effetto tra la morte e l’infezione contratta dal povero Denti e una presunta omissione di controlli da parte della struttura termale – sempre il penalista –. Una posizione che sorprende e appare inattesa, alla luce anche della vasta esperienza accumulata proprio dalla Procura di Gorizia, ufficio che ha tracciato egregiamente un metodo di indagine e di giudizio per questo tipo di reato, per esempio nelle decine di processi originati da decessi per mesotelioma pleurico derivato dall’esposizione all’amianto». «Infatti – sempre Cattarini – se fosse in precedenza passata questa riflessione tante vittime non avrebbero potuto ottenere un processo e la relativa condanna dei responsabili perché nelle loro case, come in tante all’epoca a Monfalcone, c’era una tettoia di eternit».

«Per questo motivo – argomenta Cattarini – per conto delle due parti offese chiediamo si proceda con un’investigazione ulteriore e con l’acquisizione di nuovi elementi di prova, domandando al Gip un secondo consulente “terzo”, rispetto a quello già nominato in fase di indagini dalla Procura, un medico legale, e con competenze specifiche per l’accertamento probatorio». Sempre Cattarini sollecita «siano acquisite le segnalazioni di tutti gli ospedali, locali e non, su patologie di contatto da legionella chiarendo se vi siano state eventuali frequentazioni all’impianto nel periodo». Non archiviazione, dunque, bensì «si vada a giudizio» per fare luce sul decesso di Giampiero Denti.

Questa la dichiarazione dell’avvocata Maier, che assiste la moglie Rosalina: «Ci siamo opposti perché la decisione della Procura si fonda su una non ragionevole previsione di condanna che sarebbe basata sul rilevamento in casa di una minima quantità di legionella. Accertamento peraltro non verificato secondo la più accreditata metodologia scientifica. E, in ogni caso, un valore decisamente minimo, lo ribadisco, rispetto a quello riscontrato nel caso in questione presso lo stabilimento, in quei giorni frequentato, su specifica prescrizione terapeutica, dalla povera vittima». «A nostro avviso – conclude – sono stati tralasciati importanti elementi già acquisiti ed è comunque mancato l’ulteriore approfondimento che confidiamo vorrà disporre il giudice».

La decisione, ora, passa al Gip. —

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