Montesanto ricorda don Demartini

Un libro del suo allievo prediletto don Marcioni rende omaggio alla figura dell’amato prete-muratore
Di Roberto Covaz

Sarà perché un tempo in quel capannone venivano confezionati biscotti (della ditta Gaier), sta di fatto che quelle mura sbrecciate dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale trasudavano dolcezza stimolando i protagonisti a ingaggiare e a vincere una scommessa a dir poco ardua: la creazione di un centro di addestramento professionale. Sussisteva, la struttura, in via Montesanto, dove oggi c’è la nuova chiesa che per essere eretta, pochi anni fa, pretese la demolizione di quella preesistente. Costruita, appunto, dagli apprendisti muratori del centro. Una generazione di giovani goriziani i quali, ai tormenti post-bellici, dovevano sopportare anche la sofferenza dell’anima per un futuro incerto e un presente malinconico. Ma c’era un uomo tra loro, un prete, che quei ragazzi prese per mano e li trasformò in uomini capaci di fare. Questo verbo così semplice e così bello ma che a forza di nasconderlo con sinonimi oggi ha perso la sua forza e pure la sua dignità. Quell’uomo, quel prete, si chiamava don Fulvio Demartini. A dieci anni dalla sua scomparsa, il suo discepolo prediletto don Fulvio Marcioni ha scritto un libro molto toccante che si intitola “Don Fulvio Demartini. Nella vita e nelle voci della comunità”. Voci che sono state ascoltate e tradotte in parole da quell’uomo straordinario che è Emilio Danelon, il “nostro” Emilio, senza il quale l’autore - lo ammette in prefazione - non avrebbe potuto restituire nelle pagine la muscolosa spiritualità del suo omonimo.

Non avendo avuto la fortuna di aver conosciuto don Demartini la lettura del libro si è fatta via via avida di sapere e di scoprire quanto questa persona abbia inciso sulla storia di chi l’ha circondato e della città tutta. Ecco allora dalle testimonianze raccolta del “Milio” emergere un prete muratore nel senso ampio del termine: capace di costruire spiritualità e coscienze, e allo stesso tempo di trasformarsi in manovale nella riparazione del tetto delle Casermette, all’epoca abitate da spauriti e isolati esuli dall’Istria. E ancora capace, don Demartini, fresco sacerdote in Sacro Cuore, di insegnare le regole ai ragazzini con le giuste sanzioni, pure dolorosissime quando un bimbo è privato del suo pallone da fotball (pronuncia alla Nereo Rocco). Il sacerdote, ben piantato nella fede come nella fisicità, seppe conquistare la fiducia di due arcivescovi di razza quali Margotti e Ambrosi. Il primo gli affidò l’incarico di allestire, in viale XX Settembre, un centro di aggregazione giovanile in un’epoca in cui i ragazzi senza famiglia o di famiglie distratte dalla drammatica congiuntura poterono trovare un tetto e un sorriso. Il secondo, Ambrosi, stimolò don Demartini all’allestimento del centro addestramento professionale. Il primo del genere a Gorizia.

Bella persona quella che emerge dalle pagine di don Marcioni, la cui commozione nel ricordare il maestro traspare tutta nello scritto. Tante foto corredano di calore il libro. C’è la Gorizia del passato, ci sono tanti bambini goriziani ora anziani o amici di passeggiate, lassù, accanto a don Fulvio. Don Demartini insegnava a fare; ecco dunque l’importanza e l’attualità del libro.

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