Montenegro nella Nato. Ma Mosca non si arrende
BELGRADO. Ci sono voluti anni di battaglie politiche, durissimi scontri fuori e dentro il Parlamento, l’ostacolo di un presunto colpo di Stato “filorusso” che sarebbe stato ordito da Mosca. Ma dopo un difficilissimo processo il gran giorno è arrivato. Il 5 giugno sarà ricordato per lo storico formale ingresso nell’Alleanza Atlantica del Montenegro, ormai a tutti gli effetti trasformato da “roccaforte” russa sul Mediterraneo - o almeno così lo considerava il Cremlino - a 29.o membro della Nato. Passo che è stato compiuto a Washington dal premier montenegrino Dusko Markovic, che ieri sera ha depositato il documento d’adesione nelle mani del suo custode tradizionale, gli Usa, il momento che ha sancito ufficialmente l’ingresso di Podgorica.
È «un grande giorno per il Montenegro, un evento storico» per una nazione e un «Paese che è di nuovo parte della politica globale», ha dichiarato Markovic. «L’adesione è un bene per il Montenegro e per la stabilità dei Balcani, dobrodosla Crna Gora», ha sottolineato invece il Segretario generale Nato, Jens Stoltenberg. E dopo la consegna dello storico documento, manca solo un dettaglio per completare il quadro. Quello della bandiera montenegrina issata per la prima volta assieme alle altre 28 di fronte al quartiere generale Nato a Bruxelles, mercoledì.
Non tutti hanno però gradito, in un Montenegro ancora spaccato a metà sulla partecipazione all'Alleanza. Montenegro che «è stato annesso», è uno «dei giorni più vergognosi della nostra storia», ha detto Strahinja Bulajic, deputato dell’opposizione. Ma qual è il contributo del Montenegro alla Nato? Dal punto di vista operativo, modesto: un bilancio per la difesa di 50 milioni di euro, circa 1.900 soldati effettivi, qualche fregata. Dal punto di vista strategico invece è prezioso, dato che i suoi porti ormai sono off-limits per i russi.
Quella dei benefici reciproci rimane comunque una «questione molto complicata», conferma il politologo Dragisa Janjusevic, soprattutto per quanto «riguarda le specificità geopolitiche» dell’area e i complicati rapporti «tra le grandi potenze» come la Russia, ma anche quelli «interni nei Balcani». «Non so quali benefici possa portare» l’adesione «in questo momento», aggiunge, anche se la Nato per il Montenegro può rappresentare una «barriera contro potenziali conflitti etnici o nazionali. Abbiamo situazioni intricate in Macedonia, in Kosovo, in Bosnia, che possono facilmente tracimare qui».
L’adesione porterà «riforme democratiche, commercio, sicurezza, stabilità», ha invece assicurato Washington, ieri. Lo si vedrà.
La cosa certa, al momento, è che altre tensioni – quelle già esistenti con la Russia – sono destinate a durare. Russia che, nelle scorse settimane, ha fatto pesare la sua furia contro Podgorica. Prima l’embargo contro i vini montenegrini dell’azienda Plantaze. Poi il battage anti-Montenegro sui media russi, per convincere i turisti – 200mila all’anno in arrivo da Mosca - a boicottare le coste del Paese, senza contare i timori di un ulteriore calo degli investimenti diretti russi.
Infine ieri, contro Podgorica, l’ultimo anatema da parte del Cremlino, che si è riservato «misure di risposta in base al principio di reciprocità». Difficile prevedere come si tradurrà la minaccia e se e come Mosca si stia muovendo dietro le quinte. Dietro le quinte come già fatto in Macedonia – e in passato a Podgorica - se si dà credito alle rivelazioni fatte domenica dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (Occrp), sulla base di documenti dell’intelligence di Skopje. In Macedonia la Russia avrebbe lavorato, anche con il sostegno dei servizi serbi, per destabilizzare il Paese in chiave anti-Nato e a vantaggio di partiti «nazionalisti filo-russi».
Obiettivo, quello di mantenere «una striscia di Paesi militarmente neutrali» nei Balcani, fuori dalla Nato. Sulla lista anche Bosnia, Serbia e Macedonia. La striscia si è però ridotta, con il Montenegro fuori dai giochi. Almeno da quelli di Mosca.
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