Monte Lussari, addio a Jennifer e Massimo: trovati senza vita in un dirupo
TARVISIO. Sono da poco passate le tre del pomeriggio quando l’elicottero della Protezione civile e una squadra del Soccorso Alpino notano dall’alto qualcosa di blu che affiora da un corso d’acqua. Sembra un indumento, una giacca o uno zaino. Attorno solo neve e silenzio. Dietro, a pochi passi, una parete di roccia a strapiombo. Quattro o cinque uomini, muniti di attrezzatura d’alta montagna, con caschetti, piccozze, corde e ramponi, scendono lentamente. Si avvicinano. E intuiscono. Quella cosa blu che spunta dal torrente non è un indumento. Non è una giacca e nemmeno uno zaino. Ma una ciaspola, che si scorge accanto a due cumuli di ghiaccio imbiancato dal nevischio.
La squadra, quando ormai è nella radura, si rende conto che i due cumuli di ghiaccio imbiancato non sono massi, ma due sagome. Due corpi congelati riversi nella pozza. I due triestini dispersi da martedì. Il quarantunenne Massimo Grassi e la trentacinquenne Jennifer Bubic sono precipitati da un dirupo del Lussari quasi verticale. Ruzzolati per circa duecento metri di altezza. Quando sono precipitati sul fondo, probabilmente erano già deceduti a causa dei traumi subiti durante la caduta. O comunque agonizzanti. Se erano ancora coscienti, il freddo li ha poi uccisi. Da queste parti la temperatura di notte cala a -10°. Le salme sono rimaste lì per quasi quattro giorni e tre notti. Senza quella ciaspola blu, che ha catturato l’occhio dei ricercatori, non è nemmeno immaginabile quando sarebbe stato possibile trovare i due triestini così, quasi interamente ricoperti di neve e ghiaccio. Forse a primavera.
I due triestini giacevano nella zona in cui sono stati rinvenuti i loro due cani in questi giorni, i meticci Pedro e Meggy che li accompagnavano nella gita: nel canale che scende da Sella Prasnig verso la Valle di Riofreddo. Vale a dire a 1.125 metri di quota. Con ogni probabilità camminavano su un percorso non segnato bene a circa 1.500 metri sopra. È lì che sono scivolati.
La notizia del ritrovamento si è diffusa rapidamente al campo base di Kasarnjak, il quartier generale della macchina dei soccorsi distante un pugno di chilometri, dove attendevano angosciati i familiari di Jennifer. Ma in quel momento, quando il medico della squadra di alpini non aveva ancora constatato il decesso della coppia, si parlava ancora di “avvistamento”. Di “individuazione”.
Ai giornalisti è stato chiesto riserbo: bisognava avvertire prima tutti i familiari. È la delicatezza, oltre che il dovere, dei responsabili del Soccorso Alpino e Speleologico del Friuli Venezia Giulia. Ma davanti alla scena dei due corpi congelati riversi in acqua, è evidente che non c’è più nulla in cui sperare. Per l’ufficializzazione si devono aspettare soltanto alcuni minuti. E quando arriva, al campo base è uno strazio. È uno strazio vedere i volti scioccati del papà di Jennifer, Marcello, e della sorella Cristina. Un dolore però composto. Che, almeno, li svuota da una tensione durata giorni.
Hanno fatto davvero di tutto gli esperti del Soccorso Alpino del Fvg, insieme ai vigili del fuoco, i carabinieri, la Guardia di finanza con le unità cinofile, il Corpo forestale regionale e la Protezione civile che ha messo a disposizione l’elicottero, determinante per il ritrovamento. Ma che è stato possibile impiegare solo a metà giornata quando foschia e nevischio hanno dato tregua. Una sessantina gli uomini dei diversi corpi sguinzagliati sulle montagne del Lussari. Hanno perlustrato palmo dopo palmo sia i sentieri battuti sia quelli appena appena tracciati, dove inavvertitamente si sono avventurati i due triestini. Forse per accorciare perché temevano calasse il buio. Zone impervie, disseminate di crepacci e ghiaccio, spesso nascosto dalle foglie. «Una tragedia - ha commentato Cristina Barbarino, referente della Ricerca Dispersi per il Soccorso Alpino del Fvg - siamo provati per questo epilogo. È stata una fatalità legata ai percorsi di questa zona resi estremamente insidiosi dalle temperature di questi giorni. I nostri volontari hanno utilizzato ramponi e piccozze per muoversi in maniera sicura e adeguata in questa area».
È soprattutto grazie ai due cagnolini, i meticci Pedro e Meggy che accompagnavano la coppia nella gita, che il campo delle ricerche è stato circoscritto. Le bestiole erano stremate. Ma in questi giorni di perlustrazione, prima che gli operatori riuscissero ad avvicinarle con del cibo e a trarle in salvo, sono state sentite abbaiare per ore in un’area non troppo distante da quella in cui poi è avvenuto effettivamente il tragico ritrovamento. Ed è ancora lì che i cagnetti sono stati visti dai soccorritori. Cercavano i padroni. Le squadre alpine hanno così intuito dove potevano essere Massimo e Jennifer. E ieri pomeriggio, quando un gruppo di ricercatori è riuscito a “catturare” Meggy (l’altro, Pedro, era stato preso e portato dai familiari qualche ora prima), era chiaro che il cane puntava sempre verso il bosco. Guaiva disperato guardando in direzione degli alberi. E poi le orme, quelle che assomigliavano a un “scivolamento” rinvenute giovedì nei pressi di un punto scosceso. Un indizio, questo, che ha consentito di localizzare in modo ancora più preciso l’area. È così che le perlustrazioni si sono focalizzate in un perimetro ben più delimitato rispetto ai 5-6 chilometri quadrati, per complessivi 3.000 ettari, setacciati nella prima giornata di operazioni quando non c’era ancora una briciola di traccia.
Massimo e Jennifer erano venuti in gita martedì, lasciando l’automobile alla base del monte, dove si diramano i sentieri verso il Lussari. I due triestini si frequentavano da circa un mese e avevano trovato nella montagna una passione comune. È solo nelle ultime ore che è stato possibile ricostruire con esattezza i loro spostamenti. La tragedia è avvenuta sulla strada del ritorno: dopo aver preso la traccia “nera” che da Sella Prasnig (1.491 m) va verso la Malga Lussari, hanno deviato calandosi lungo il canale del Rio Prasnig. Avevano le ciaspole a piedi. Sono scivolati con ogni probabilità a causa degli strati di ghiaccio che lastricano il fondo, spesso invisibili. Un volo di duecento metri tra le rocce. I corpi erano nella pozza sottostante. Vicini. Dunque sono caduti insieme. Forse scendevano il percorso ripido aiutandosi, tenendosi per mano, come si fa in montagna. Come si fa tra innamorati.
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