Monsignor Crepaldi: «Le offese della Lega a Tettamanzi non fanno bene alla politica»
A poco più di due mesi dall’insediamento a Trieste, il vescovo Giampaolo Crepaldi vede una città "piena di risorse" che deve però "scommettere sul suo futuro". E in merito alle feroci critiche della "Padania" al cardinale Tettamanzi dichiara: "Quello della Lega è stato un attacco offensivo e strumentale"
TRIESTE.
Se ne stupisce lui stesso («Temevo che Roma mi mancasse»), eppure - assicura - Trieste gli ha fatto superare il distacco dalla sua casa di piazza San Calisto e gli sta «regalando una stagione bellissima». A poco più di due mesi dall’insediamento, il vescovo Giampaolo Crepaldi dal suo studio in Cavana vede una città «piena di risorse» che deve però «scommettere sul suo futuro». Dice così, il presule, mentre la Chiesa di Roma è reduce dall’attacco feroce sferrato dalla Lega al cardinale Tettamanzi. Attacco «offensivo» e giocato in termini «strumentali», lo definisce Crepaldi, in una fase «complessa» della Repubblica: una fase in cui peraltro i cattolici attivi in politica «potrebbero e dovrebbero fare di più».
Partiamo da Trieste. Prima di arrivarci lei rifuggiva dalla definizione di «bella e difficile». E oggi?
La città non è bella ma bellissima. E non è difficile, anche se ovviamente ha qualche problema, a cominciare dalla Chiesa triestina. Quanto a quest’ultima, va data una linea unitaria a un lavoro pastorale molto radicato: occorre inserirlo in una cornice programmatica. Non giudico il passato, ma avverto l’esigenza di focalizzare meglio alcuni nodi che andranno a incidere anche sulla vita futura della nostra Chiesa.
Trieste viene definita storicamente città laica. Concorda?
Indubbiamente. Non si tratta però di un laicismo ostile e indifferente, bensì di una laicità intelligente, capace di ascoltare e di essere accogliente: esemplare, sotto questo profilo.
In questo periodo avrà incontrato i rappresentanti istituzionali della città. Quale impressione ne ha tratto?
Trieste vive una fase storica particolare e di questo loro sono ben consapevoli. In questo tempo si giocherà il futuro della città e il suo ruolo in quest’area, anche nei rapporti con il Veneto e con i Paesi confinanti. Fermo alle mie competenze, nella mia predica di San Giusto ho incitato la città a non lasciarsi andare alla pigrizia intellettuale e morale collegata al no se pol.
Ne riscontra la tendenza?
Un po’ la sento e la vedo. E la stigmatizzo. La Chiesa sarà vicina a chi prospetta un futuro degno della storia di questa città. Ma al di là del contenzioso politico legato alla vita democratica, in generale posso esprimere grande apprezzamento per gli sforzi che a livello cittadino e regionale si stanno facendo. L’impressione che ho ricavato è che ci sia la volontà di guardare avanti con coraggio per sciogliere i nodi che tutti conosciamo.
Quanto pesa ancora il passato?
Forse dieci o vent’anni fa era un handicap, ora pesa molto meno. Credo siano stati fatti grandi passi in avanti: restano alcune ferite aperte. Bisogna continuare a lavorare, e la Chiesa di Trieste su questo fronte è esemplare per la maturazione compiuta sul fronte del dialogo, della conciliazione e dell’amicizia tra le diverse entità, tra le diversità che ognuno porta dentro di sé.
Quando, nel giorno del suo insediamento, in San Giusto lei pronunciò parte delle letture in lingua slovena, fu oggetto di un commento pepato da parte di Roberto Menia. Se l’aspettava?
No, ma non sono grandi difficoltà. Del resto il primo a cercare la riconciliazione è il vescovo...
Per tornare alla città sospesa tra passato e futuro...
La smemoratezza delle nuove generazioni in questo caso è benefica.
Ma la percentuale di anziani è altissima.
Ecco, sì. Ho scritto per San Nicolò una letterina ai bambini - di fatto anche un messaggio ai genitori - dicendo loro che a volte mi mette tristezza vedere per le strade tante teste imbiancate. Se si vuole guardare al futuro bisogna cominciare ad amare la vita e ad affrontare anche questo nodo.
Il ringiovanimento di una città passa anche per la sua attrattività a livello universitario, scientifico.
Indubbiamente, e credo che la nostra Università sia un rilevante punto strategico per il futuro di Trieste, se collegata a un disegno complessivo.
Cosa manca alla città per compiere il salto di qualità?
Forse un po’ di coraggio, un po’ di spavalderia giovanile, il gusto di giocare la carta del rischio. Provando. E dandosi dei tempi. Bisogna coltivare quell’anima di Trieste capace di guardare avanti, altrimenti la pigrizia del no se pol e la mancanza di concordia rischiano di inchiodarla.
Mentre il treno della ritrovata baricentricità nella nuova Europa sta passando...
Sarei più felice se la città avesse maggiore consapevolezza delle sue risorse e se fosse più concorde - a ogni livello - nel perseguire gli obiettivi. La Chiesa non ha un progetto su rigassificatore o viabilità, ma le interessa che questa città riabbia il ruolo strategico che merita: è colma di risorse umane e di straordinaria eccellenza.
Quale contributo porterà la Chiesa?
Le città vivono se si aprono, muoiono se si chiudono. Io agirò per dare, per quanto mi compete, maggiore respiro internazionale non solo alla mia Chiesa ma alla città. Il presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa mi ha appena nominato presidente dei vescovi incaricati da ciascuna Conferenza di trattare i temi inerenti lavoro, ambiente, sociale. Nel 2010 terrò a Trieste il primo incontro tra questi presuli.
Lei sta pensando anche a una Fondazione culturale per la dottrina sociale della Chiesa...
Un progetto definito ancora non c’è, ma l’intenzione è di offrire alla città una proposta di più alto profilo su temi specifici della dottrina cristiana. Nel prossimo periodo quaresimale intendo promuovere la ”Cattedra di San Giusto”, alla presenza di grandi personalità nazionali e triestine, per invitare la città tutta a riflettere su temi come Dio, giustizia sociale, ecologia. Questioni su cui c’è interesse anche da parte di chi credente non è.
E l’organizzazione interna della Diocesi?
Sono ammirato dal clero triestino, da quello che fa. Ho avviato un gruppo di giovani preti che seguirò io direttamente; e ho rinnovato il Consiglio presbiterale diocesano.
Come giudica l’attacco che la Lega ha sferrato al vescovo di Milano Dionigi Tettamanzi?
Conosco Tettamanzi da molto tempo, è un uomo evangelico e un pastore molto saggio. È anche un intellettuale colto e raffinato che sa molto bene cosa e come deve fare. Gli attacchi? Nella storia della Chiesa è sempre stato così.
Non con toni simili, non di recente almeno. La ”Padania” ha paragonato Tettamanzi a un imam.
Sì, e lo ha fatto in termini offensivi. Spiace che a volte il dibattito politico sia sopra le righe: non fa bene a nessuno, soprattutto non fa bene alla politica né ai politici.
Quando vescovi e cardinali fanno politica, sostengono i leghisti, possono diventare oggetto di replica.
Io che conosco Tettamanzi posso dire che ha agito con grande spirito evangelico e da pastore. Ho apprezzato fortemente gli interventi del Presidente Napolitano e del cardinal Bertone.
La Lega ha fatto leva anche su presunte divisioni tra Cei e Vaticano.
Che ci siano sensibilità diverse è normale, e portano un contributo alla ricchezza collettiva. Ma le divisioni sono inventate.
Adesso il Carroccio, ad agosto il caso Boffo. Allora lei non fece commenti, ma ora che il ”Giornale” ha riconosciuto di essersi sbagliato?
L’aver mosso una bufera, distrutto una persona, tentato di minare un capitale di credibilità per poi dire ”Ci siamo sbagliati”... Una vicenda sconcertante, che si commenta da sé. Viviamo una stagione complessa dove il sopra le righe politico e mediatico risulta micidiale. E almeno certi settori del giornalismo dovrebbero fare un esame di coscienza, anche per quanto attiene il rapporto - e i reciproci condizionamenti - tra media e politica.
C’è, secondo lei, un attacco da parte di forze al governo nei confronti di una Chiesa impegnata a intervenire su temi molto sensibili?
Non credo che in Italia vi siano forze organizzate e istituzionalizzate che programmano un attacco. Ci sono ogni tanto realtà che in termini strumentali vanno a pizzicare la Chiesa perché quest’ultima svolge, com’è suo compito, la propria missione in termini di carattere religioso ed etico, non politico: dove c’è di mezzo l’uomo, la dignità della persona, è da quel tempo che Roma interviene in sua difesa.
Nel merito del tema immigrazione che ha scatenato l’attacco a Tettamanzi, qual è il suo giudizio?
Oggi si giocano le carte strumentali della paura, ma un equilibrio nel dibattito sul governo dei flussi migratori non si è ancora trovato. Se c’è una latitanza - storica e imperdonabile - è proprio quella dell’Europa. Gli Stati sono stati lasciati soli, probabilmente anche perché vogliono gestire in proprio la situazione.
In questi giorni emerge anche il tema di una scarsa rappresentatività e rappresentanza dei politici cattolici. Ha ancora senso pensare a un partito cattolico, oggi?
Una risposta adeguata potrebbe darsi solo se terminasse questa fase di transizione infinita della politica italiana. Oggi come oggi non sarebbe male se i cattolici in politica si facessero valere un po’ di più e dialogassero maggiormente tra loro. A febbraio pubblicherò un libro sull’impegno del cristiano in politica. Una certa stagione è definitivamente chiusa, ma l’apporto dei cattolici in politica non deve finire.
Un fronte comune contro la dispersione dei valori, lei dice?
Che molti valori siano andati a farsi benedire è evidente. Quanto ai politici cattolici, sono tutte persone mature e intelligenti, ma come vescovo e credente dico che potrebbero fare di più e meglio. Hanno degli input straordinari dalla dottrina sociale della Chiesa. Basta prendere la ”Caritas in veritate” (l’enciclica di Benedetto XVI, ndr): in quel testo possono trovare una piattaforma mirabile. Il rischio è che se la lascino scippare da coloro che cattolici non sono ma che a volte, dopo la crisi delle grandi ideologie, risultano più interessati a utilizzare questo magistero pontificio come background culturale per l’ermeneutica politica: un fatto molto interessante, non trova?
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