Monfalcone, vi portiamo in anteprima nelle sale del Muca, il museo della cantieristica

L'aspettativa è alta. Siamo di fronte a un prototipo, l’unico polo italiano dedicato cantieristica navale. È il Muca di Monfalcone, allestito al piano terra dell’ex Albergo Operai del quartiere di Panzano, con i suoi percorsi esterni tra le ville dei dirigenti, l’Albergo Impiegati, il Centro visite di via Pisani, tra totem informativi e una app scaricabile gratuitamente.
Il Villaggio operaio è tutt’uno di quell’embrione della città che attraverso la famiglia Cosulich, ha legato indissolubilmente la Grande Fabbrica al suo contesto e al suo vivere sociale. L’ex Albergo Operai era la “casa” dei cantierini, nell’ottica dei tempi che durante gli anni Venti contrassegnò la filosofia dell’impresa che si fa carico, “protegge” e programma non solo l’attività produttiva dei dipendenti, ma anche il loro vivere quotidiano. All’epoca era una sorta di “alveare” in una successione di 700 stanze. Oltre 18mila metri quadrati, 1300 finestre e 5 corti interne, il palazzo oggi si staglia davanti allo stabilimento navale con il vigore e l’orgoglio di un rigoroso recupero durato oltre 8 anni.
Complessivamente sono tre piani. Il secondo, proprietà di Fincantieri, è destinato a ospitare uffici, il terzo, dell’impresa costruttrice, diventerà albergo e ristorante, in via di completamento. Al piano terra del Muca 1450 metri quadrati sono organizzati nelle sale espositive divise in 14 sub-aree comunicanti a tema. Proprietà del Comune, acquisto da Fincantieri da 1,4 milioni di euro, il Museo della cantieristica navale, concepito come Polo museale diffuso, è alle battute finali dell’allestimento.
Resta la sistemazione dell’oggettistica nelle bacheche. Un ultimo passaggio riguarda invece l’ingresso esterno, che, di proprietà Fincantieri, attende adeguata sistemazione.
Siamo comunque al count down per l’evento inaugurale. La data fissata è il 9 giugno. L’assessore alla Cultura, Michele Luise, incrocia le dita: «Riteniamo di poter rispettare i tempi di apertura del Museo, anche perchè non è una scelta casuale: il 9 giugno infatti coincide con i 90 anni dall’inaugurazione ufficiale del rione di Panzano. Vogliamo dare un segno simbolico e commemorativo, a sottolineare l’importanza del quartiere operaio e del suo cantiere».
Luise aggiunge: «Vogliamo consegnare la storia alla comunità, le emozioni di quanti hanno lavorato nel cantiere, ma anche far apprezzare questro grande valore culturale e di archeologia industriale all’esterno. Altro obiettivo importante è la fruizione da parte delle scolaresche. La caratteristica del museo sarà anche quella di un costante aggiornamento “in progress”». Claudio Nardi di Firenze ha capitanato l’equipe dei progettisti, mentre per la parte web il progetto è di Sintesi Hub di Trieste. Entrati nel museo è già come se la storia abbia fatto un balzo nel presente. Il passato diventa vivo, comunica attraverso la multimedialità, immerge in ricostruzioni in 3D e trascina tra modellini in scala, gallerie fotografiche d’epoca, filmati, proiezioni. Tutto tradotto anche il lingua inglese.
Ad accogliere è l’area speciale, con la reception e il guardaroba. Il primo impatto è custodito in un’ampia vetrina, il modellino del “Giulio Cesare”, primo transatlantico italiano costruito nel dopoguerra, varato nel 1951, progettato dall’allora direttore del cantiere, Nicolò Costanzi. È uno dei più pregevoli modellini, restaurato nel 2008 a cura dell’Associazione modellistica monfalconese. La visita offre la possibilità di una guida affidata ai protagonisti dell’epoca.
Sono sei personaggi contenuti nelle “carte” che infilate nei lettori sottostanti maxi-video, faranno da “ciceroni” personalizzati.
Si tratta dell’ingegner Dante Fornasir, a cui si deve la progettazione del rione operaio, l’architetto delle navi Nicolò Costanzi, Egone Missio, l’operaio entrato nella leggenda della cantieristica, diventato dirigente e progettista dei più bei transatlantici realizzati a Panzano, lo xilografo Tranquillo Marangoni, l’operaia Elda, realmente esistita, e naturalmente l’armatore Callisto Cosulich.
«I sei personaggi accompagnano nella narrazione del rapporto simbiotico tra la città e la fabbrica trasmessa dal loro punto di vista - osserva l’architetto Michele Poletto, del gruppo progettisti del Muca e direttore dei lavori -. Ogni visitatore - aggiunge - può scegliere il suo personaggio e inserire la “carta” nei lettori-video. Ci sono due livelli di fruizione, veloce oppure con approfondimenti, accompagnati nel filmato anche da informazioni scritte».
Nella parte centrale del Museo un enorme fumaiolo proietta su una grande piastra immagini e audio, per introdurre nella grande storia del cantiere e della città fornendo le coordinate generali. In stand-by appare l’evoluzione del territorio da fine ’800 ad oggi. Singolare poi la timeline che scorre lungo una grande parete. Immagini d’epoca raccontano, in una sovrapposizione di scatti che sfilano parallelamente, in alto e in basso, l’attività produttiva del cantiere, i momenti storici, nonchè il vissuto sociale della popolazione, in un intreccio efficace per dare corpo e anima a quegli anni.
L’emozione di immedesimarsi nel cantierino al lavoro è contenuta invece in un tunnel sensoriale. Dentro un buio corridoio tre oblò luminescenti contengono immagini corrispondenti alle fasi lavorative a terra, in bacino e durante l’allestimento nella nave. Una luce stroboscopica intermittente attira l’attenzione sulle scintille che zampillano dalla saldatrice in mano all’operaio. I suoni sono propri del lavoro nella fabbrica, facendo ben capire le operazioni certosine e impegnative. Il lavoro in fabbrica si concentra nella subarea 6, con divani e sedute, l’isola didattica, video multimediali.
È una full immersion nella sicurezza del cantiere, nelle tecniche costruttive, nella realizzazione delle navi da crociera. Non manca il tema-amianto trattato in modo scientifico, comprese le conseguenze che il contatto e l’esposizione della fibra ha comportato. Un approccio evidentemente diverso alla sicurezza. Colpiscono immagini di lavoratori che operavano senza cinture sospesi sulle assi ad altezze vertiginose. Il lavoro in fabbrica racconta quando le lamine di acciaio delle navi si chiodavano, prima dell’avvento, negli anni ’50, della saldatura. Allora non esistevano i sistemi di calcolo computerizzati.
Erano i disegni in lucido e gli artigiani della sala tracciati a dar forma alle navi. Questo lavoro quasi artigiananale diede vita a navi come la Stockholm, la nave che “visse due volte”, risorta dalle ceneri di un incedio appena dopo il varo. Tra i “pezzi forti”, la subarea 8, spicca l’intera produzione del cantiere navale. In esposizione ci sono 5 modellini in scala. Sarà una continua rotazione attingendo dalla corposa dotazione di Fincantieri. Nella sala campeggia la portaerei Garibaldi, varata a Monfalcone. Tra le splendide foto anche la Oceanic, varata sempre a Panzano.
Riproduzione riservata © Il Piccolo