Monfalcone: saltato l’affare moschea, baruffa proprietario-Lega

Il Carroccio si arroga il merito di aver impedito la vendita dell’ex Hardi Sante Mio: «Perché adesso il capannone non se lo comprano i padani?»
Di Tiziana Carpinelli
Altran Mf-Bengalesi in preghiera
Altran Mf-Bengalesi in preghiera

Sempre più accidentata la strada verso la creazione di una “moschea” a Monfalcone, dopo che la trattativa privata per l'acquisizione dell'ex supermercato Hardi di via Primo Maggio è, negli ultimi giorni, andata a rotoli. La Lega Nord rivendica la battaglia portata avanti nel rione di San Polo e il merito di aver evitato la creazione di una moschea, mentre l'amministrazione di centrosinistra sottolinea «l'anacronismo di una crociata condotta contro chi rivendica il diritto, legittimo, di trovare un punto di aggregazione». Nel mezzo c'è la proprietà dell'immobile, ovviamente seccata per la piega che hanno preso gli eventi. In ballo, infatti, c'è una cifra a cinque zeri. Sante Mio, comproprietario dell'area di via Primo Maggio, non si dà pace e nell'annunciare lo stop alla trattativa imbastita con la comunità musulmana butta lì la provocatoria battuta: «Vorrà dire che andrò a proporre l'immobile alla Lega, che tanto si è data da fare per contrastare l'affare». Ma il Carroccio, una sede, l'ha appena trovata: dismesso il quartier generale di via della Resistenza sta prendendo casa in viale San Marco. Nel frattempo i musulmani, che domani celebreranno la Festa del sacrificio al Mercato vecchio (lo conferma l'assessore alle Politiche sociali Cristiana Morsolin), continua a guardarsi in giro per un nuovo posto.

Federico Razzini, consigliere della Lega Nord, parla di un «epilogo inevitabile: ha vinto il buon senso, mentre l’ideologia non si è mai neanche affacciata». Razzini esprime «inevitabile soddisfazione per lo stop alla moschea nell’ex discount». Ma nega «la volontà di condurre una crociata anti-Islam fondata sulla fede religiosa», rimarcando come debba essere «resa giustizia alla denuncia che la Lega ha interpretato con fermezza, senza mai mancare di rispetto a nessuno». «Numerose ombre – sono le parole di Razzini - si allungavano su questa vicenda, sin dall’inizio. Era giusto che un ex supermercato accogliesse minareto, muezzin e fedeli? Perché i finanziamenti sono sempre stati circondati da un alone di mistero? Molti cittadini avevano aderito alle nostre iniziative, dalla raccolta firme al sit-in, per manifestare perplessità, dubbi e timori circa un’operazione poco lineare».

Per l'esponente del Carroccio «i nodi sono venuti al pettine e tutte le incongruenze hanno portato al deragliamento dell’operazione». «Gli edifici di culto – conclude - sono concepiti per ospitare determinate funzioni. E tali devono restare. Così come i supermercati sono e restano fabbricati commerciali. L’azzardo di rivoluzionare la destinazione d’uso di un capannone, mascherando le reali finalità con formule vaghe, si è rivelato un bluff».

Ma l'assessore Morsolin non ci sta e ribatte punto per punto: «Ma quali fondi occulti? Il bilancio è trasparente e il consigliere può consultare gli atti quando vuole. Già in Consiglio, proprio a una sua interrogazione, l'assessore Schiavo aveva spiegato che non c'è alcun cambio di destinazione d'uso. Anzi, di fronte all'interrogativo dell'associazione circa eventuali problemi su un trasferimento dall'attuale sede di via Duca d'Aosta a via Primo Maggio, gli uffici avevano replicato che lo spostamento non crea problemi, mentre la destinazione di tale immobile a luogo di culto è impraticabile». «Inoltre – precisa – non ho la più pallida idea di quali finanziamenti stia parlando il consigliere visto che il Comune non offre alcun contributo neppure per l'attuale sede, presa in affitto dai bengalesi in forma privata. È ora di mettere la parola fine a questa querelle: è inaccettabile che un consigliere, con un ruolo pubblico, continui a dire cose non vere».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Argomenti:moscheaislam

Riproduzione riservata © Il Piccolo