Monfalcone, ricorso a Mattarella sull’uscita dalle Uti
Istanza al Capo dello Stato della Regione contro l’«atto illegittimo» di Monfalcone e le «ricadute negative sul territorio»
Anna Maria Cisint (Sindaco Monfalcone) e Debora Serracchiani (Presidente Regione Friuli Venezia Giulia) nella sede della Regione in piazza Unità d'Italia - Trieste 04/01/2017
Tirare dritto e andare avanti. Scaduti i 60 giorni a disposizione dei Comuni rimasti orfani del capofila e dell’Uti Carso Isonzo Adriatico (Cia) per ricorrere al Tar contro la fuoriuscita dell’ente demograficamente più popoloso, alias Monfalcone, pareva morta lì. Pareva cioè che la linea del tirare dritto e andare avanti in solitaria corsa potesse aver premiato la maggioranza Cisint, che in seduta straordinaria a marzo aveva portato la contestata delibera, poi approvata davanti ai musi lunghi del centrosinistra, ostile alla fuga.
Invece, proprio quando le acque si parevano chetare, e il sindaco Anna Cisint già segnava all’attivo nuove convenzioni con San Pier e Turriaco per la gestione dello sportello Suap e dei sistemi informatici, ecco il fulmine a ciel sereno: il ricorso al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella della Regione, nella persona di Debora Serracchiani, contro il Comune di Monfalcone, rappresentato dal sindaco pro tempore, per «annullare» la delibera della discordia. Apriti cielo, con Cisint ad accusare piazza Oberdan di «ingerenza» e «violazione dell’autonomia degli enti locali».
L’atto, notificato a fine giugno anche agli altri Comuni dell’Uti Cia, è stato redatto dall’avvocato Massimo Luciani, professore di Diritto costituzionale alla Sapienza che ha già seguito la giunta regionale nel tortuoso percorso della legge 26, davanti al Tar. Ventinove pagine in cui si perora l’annullamento della delibera del Consiglio comunale di Monfalcone del 4 marzo scorso con oggetto “Determinazioni in ordine all’Unione territoriale intercomunale”. Il testo impugnato viene ritenuto «illegittimo» e «gravemente lesivo degli interessi della ricorrente», cioè la Regione, che ha predisposto il piano di riordino territoriale con legge 26 del 2014. La fuoriuscita monfalconese, infatti, stando a quanto depositato «comporta la pretesa all’alterazione della legittima composizione dell’Unione e un grave stato di incertezza nell’ordinamento degli enti locali e del regime di intercomunalità», con «conseguenze negative» sull’efficacia, efficienza ed economicità della gestione delle funzioni amministrative di competenza della Uti». E siccome l’articolo 31 della legge 26 stabilisce che le Unioni possono esercitare anche funzioni amministrative regionali, «ogni atto che illegittimamente interferisca con l’ordinamento delle Uti è di per sé lesivo degli interessi legittimi della Regione». Come a dire: Serracchiani ha titolo a ricorrere, contrariamente a quanto va dicendo Cisint. Anche perché «l’intero procedimento di soppressione delle province e di nuova allocazione delle loro funzioni amministrative e dei beni connessi potrebbe essere compromesso». Senza scordare che «la gestione della finanza pubblica locale è sostanzialmente impedita» da un atto reputato illegittimo. E non si manca di sottolineare che già un anno prima Monfalcone aveva approvato lo schema d’atto costitutivo e statuto dell’Uti Cia, che peraltro non contempla ipotesi di autonoma fuoriuscita. Dulcis in fundo nel ricorso finiscono anche le disquisizioni locali, con parole citate dell’opposizione a scalpitare per il mancato passaggio in commissione della delibera, in violazione – così sempre l’avvocato Luciani – di tre articoli dello Statuto comunale e due del Regolamento del Consiglio.
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