Monfalcone, operaio muore sul lavoro in Fincantieri: tre condanne e un’assoluzione
MONFALCONE Tre condanne e un’assoluzione per la morte dell’operaio Mauro Michele Sorgo, 43 anni, di Ronchi dei Legionari, deceduto il 15 ottobre 2008, a bordo della Ruby Princess, schiacciato da una porta stagna, nella sala macchine. Era il secondo giorno dedicato ai test a bordo nave. Martedì il giudice monocratico Iorio ha pronunciato la sentenza. Pena di 2 anni per Carlo De Marco, di Trieste, all’epoca direttore dello stabilimento navale, un anno per Emanuele Truant, di Codroipo, responsabile delle prove, e per Paolo Tonzar, di Monfalcone, capo officina, mentre Giorgio Gomiero, residente a San Stino di Livenza, allora vicedirettore e direttore tecnico di stabilimento, è stato assolto.
Lunga la discussione finale, preceduta dall’esame di Truant. Su tutto un interrogativo: perché Sorgo aveva lasciato il luogo di raccoglimento degli operai, all’esterno del ponte 4, in zona sicurezza, per scendere al ponte 1 proprio nel momento in cui era stato dato il via al test della chiusura delle porte stagne? Il pubblico ministero Valentina Bossi ha sostenuto che a spingerlo era stata la sua scrupolosità. Voleva controllare e modificare lo stato dell’impianto di cui aveva competenza per evitare di pregiudicare la prova. «Una morte assolutamente inutile», l’ha definita il pm. Sorgo non sapeva come comportarsi, e lui come tutti gli operai «venivano lasciati all’oscuro», nell’ambito dell’organizzazione delle prove, sul pericolo di quelle porte. Nè il cartello di avviso chiariva i rischi: «I cartelli dicono una parte di ciò che si doveva fare», ha aggiunto. Ha chiamato in causa la carenza di formazione dei lavoratori, il documento sulla valutazione dei rischi. Ha parlato di «omissione di informazione» e di sicurezza in difetto, in capo al direttore dello stabilimento. «Sorgo – ha continuato il pm – era là per controllare che tutto andasse bene. E s’era preoccupato che gli interruttori di sua competenza fossero a posto».
Erano circa le 20.30 quando s’era dato inizio alla chiusura generale e simultanea delle porte stagne, al ponte 1. Mezz’ora prima s’era concluso il “black out”, con l’interruzione repentina della corrente elettrica. Un test nel test, rientrante in una programmazione pianificata assieme a tutti i soggetti coinvolti. Anche durante un briefing, avvenuto dopo cena. A bordo restavano i soli operatori coinvolti nell’operazione, divisi in squadre con specifici ruoli. Indicazioni e comunicazioni erano state fornite durante l’intera giornata. Sorgo apparteneva al gruppo di operai passivi. A loro spettava salire sul ponte 4, in area di sicurezza, e rimanervi fino al termine del test, quando avrebbero loro comunicato l’autorizzazione a tornare al ponte 1. Il 43enne era salito, come gli altri, ma poi aveva deciso di scendere. I difensori hanno ripercorso la vicenda in altri termini. Sorgo, dopo essere sceso al ponte 1, aveva aperto la porta stagna di 40-50 centimetri, anzichè aprirla completamente di 1 metro e 20. Aveva 10 secondi per passare rispetto ai 28 secondi, ha spiegato l’avvocato Matteo Pagano. E non è riuscito a prendere la maniglia opposta per evitare la chiusura di quei “muri”. Il cartello forniva un’indicazione evidente e logica su come comportarsi. Tutti gli operai erano stati adeguatamente informati sui test, non a caso c’era una specifica procedura. «Ci sono regole precise – ha aggiunto – sul test di chiusura delle porte stagne, tutti devono raccogliersi in un punto assegnato ed è tassativo non scendere e non attraversare quelle porte. Tutti erano saliti sul ponte 4, quindi il messaggio era stato chiaro». Il legale ha continuato: perché aprire la porta stagna anzichè utilizzare le “sfuggite”, che l’operaio ben conosceva, e permettono di spostarsi senza attraversare le porte? L’avvocato Corrado Pagano ha affermato: «La vicenda si articola in due momenti. Quando tutti erano sul ponte 4, compreso Sorgo, ottemperando ad una precisa disposizione, e quando l’operaio, di sua iniziativa, ha lasciato il punto di raccoglimento, senza avvisare alcuno e per motivi rimasti ignoti».—
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