Monfalcone, nodo sicurezza al Pronto soccorso: «Basta accattoni»
MONFALCONE È mattina presto. Una donna accusa un malore, prende la sua borsetta e si precipita al Pronto soccorso. Nell’attesa angosciosa di essere visitata dai camici bianchi si trova davanti a una scena paradossale: quattro nomadi, due uomini e due donne, che imperturbabili stazionano nella sala d’aspetto in attesa che la spia del loro cellulare, “a sbafo” collegato alle prese elettriche dell’ospedale cittadino, indichi che la batteria è ben carica. La signora, pur afflitta dal dolore e bisognosa di cure, non si sente più al sicuro e così desiste dal presentarsi agli operatori sanitari. Prima di abbandonare il San Polo, tuttavia, si dirige allo sportello dell’Urp per segnalare l’anomala situazione. Subito il dirigente medico della Direzione sanitaria, Michele Luise, afferra la cornetta e chiama i carabinieri di via Sant’Anna. Ma alla vista del primo lampeggiante il quartetto si è già defilato. E ai militari non resta che risalire sulla vettura per il rientro in caserma. Epilogo: neanche mezz’ora dopo una delle due nomadi viene avvistata da Luise mentre si dà alla questua molesta in ospedale.
Il guaio è che non si tratta della prima volta, anzi è un canovaccio che purtroppo torna a ripetersi. Solo una decina di giorni fa è stato allontanato, sempre dai carabinieri, un tossicomane già noto alle forze dell’ordine che aveva preso l’abitudine a dormine in Pronto soccorso. E prima ancora, sotto Natale, c’era stata la coppia di senzatetto a pernottare per tre settimane sulle seggioline del presidio, sollevando la mobilitazione di Monfalcone domani. Quella di ieri mattina, dunque, la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché l’ordinanza anti-accattoni, che in qualche modo aveva frenato l’invasione di senza fissa dimora, «è scaduta ormai da un mese e dunque la Polizia municipale non ha titolo per intervenire», precisa Luise.
Di qui la necessità di scomodare l’Arma per procedere all’identificazione dei soggetti e convincerli a sloggiare. «Comprendo la signora spaventatasi alla vista dei quattro zingari, che certo non ispiravano fiducia, e la ringrazio per la segnalazione - commenta Luise -. Anzi, invito i cittadini a fare altrettanto. Questo è uno degli episodi per i quali chiediamo che l’assessore si faccia parte attiva, recandosi dal Prefetto, nel sollecitare il rinnovo dell’ordinanza». L’ospedale, infatti, non è un luogo qualsiasi.
«Chi vi accede non viene a farsi una passeggiata e ha il diritto a ottenere massimo rispetto e serenità - tuona Luise -. Il paziente che si reca al punto di emergenza sta male e chiede cure senza subìre molestie da estranei o venire turbato. Idem per gli operatori». Anche per questo il dirigente medico della Direzione sanitaria convocherà a breve un incontro sul problema della sicurezza con tutti gli enti proposti. «Questi zingari dove hanno dormito l’altra notte? Forse nei sotterranei, dove si spogliano gli infermieri e sono disposte apparecchiature come la centralina di sterilizzazione? Si avverte la necessità di intraprendere quei passi necessari a mettere in sicurezza il San Polo», aggiunge Luise. Più facile a dirsi che a farsi, però. Tappezzare per esempio l’ospedale, luogo sensibile, di telecamere rischia di cozzare coi principi della privacy. Lo ammette il dirigente: «Potremmo avere noie col Garante».
Lo scoglio maggiore è la conformazione “aperta” del San Polo. «Avessimo un ospedale come la maggior parte dei presidi italiani non avremmo tutti questi problemi - osserva Luise -: a Udine, per dire, se la sbarra è giù non si entra. La struttura andrebbe quindi perimetrata, secondo un’ipotesi avanzata in passato, e chiusa, ma per fare questo servono soldi». E il periodo, si sa, non è dei migliori, alla luce dei tagli - non sempre chirurgici - adottati dalla giunta Serracchiani, peraltro motivo di petizioni sul territorio (vedi automedica). «Il fatto di avere un ospedale “esposto” ci rende oggetto di intemperie - conclude il dirigente -. Fuor di metafora, qui al Pronto soccorso si avverte la necessità di interventi. La struttura sanitaria si prende carico della cura dei malati, ma l’assistenza sociale dovrebbe competere ad altri e non gravare sulle spalle del San Polo. In ogni caso, il primo da tutelare resta il malato, che ha il diritto di non doversi confrontare con chi pensa solo ai cavoli propri, allacciandosi alla corrente elettrica pubblica per ricaricare il telefonino». Non fa una piega.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo