Monfalcone, la città tifa sì e teme Ronchi e Staranzano VD

MONFALCONE Che si voti domenica a Monfalcone, e per un referendum tutto locale, sulla fusione del Comune con quelli di Ronchi dei Legionari e Staranzano, non c’è quasi segno. I tabelloni dedicati alla propaganda elettorale sono vuoti.
Se si eccettua qualche solitario manifesto dei sostenitori del “sì” alla creazione di un unico Comune delle dimensioni poco distanti da Pordenone. A conferma, forse, di come i partiti, che qualche risorsa finanziaria ce l’hanno ancora, abbiano deciso in sostanza di rimanere alla finestra.
Il Comitato per il “sì” alla fusione, comunque, sabato scarso era di nuovo a presidiare piazza della Repubblica, come da mesi ormai, distribuendo volantini in mezzo alle bancarelle del mercatino del modernariato, che invade il centro pedonale una volta al mese.
Sarà che se ne parla da venticinque anni ormai e che il referendum è nato da una raccolta di firme tra la popolazione, il tema della fusione, però, sembra aver raggiunto e in qualche modo appassionato almeno una fetta di monfalconesi, che paiono tutti abbastanza consapevoli dell’appuntamento con il voto di domenica.
Fermati per strada, i cittadini, di più lunga data o più recenti, sembrano sapere tutti che domenica si torna alle urne e per cosa (seggi aperti dalle 7 alle 23, con 37.260 elettori coinvolti di cui 21.249 a Monfalcone, 10.033 a Ronchi dei Legionari e 5.978 a Staranzano, poi subito lo scrutinio per conoscere il responso).
«Certo che so per che cosa si vota - dice Franca Blasini - per la fusione dei Comuni». Solo qualcuno, tra un referendum e l’altro, si confonde con la battaglia già in atto tra Pd renziano e una fetta di partiti di minoranza, costituzionalisti e Anpi sulla riforma del Senato, che sarà sottoposta a referendum confermativo solo in autunno.
A Monfalcone, senza pretendere, e ce ne mancherebbe, che il campione degli intervistati, in video e non, sia esaustivo, in ogni caso non solo pare buona la conoscenza dell’oggetto del contendere, ma anche già deciso il voto da esprimere domenica. La maggior parte sembra già essersi fatta un’idea precisa di ciò che voterà, se andrà alle urne. E il partito del “sì” appare decisamente in vantaggio.
«Sì, andrò a votare e voterò sì», dice ad esempio senza tentennamenti Riccardo Benco, vigile del fuoco del distaccamento di Monfalcone che abita in zona Zochet. «In buona sostanza risiedo a Monfalcone, ma parcheggio a Ronchi, perché l’altro lato della mia via è già appartenente all’altro comune», spiega, sottolineando come gli sembri assurdo che in tempi di Europa e globalizzazione ci siano difficoltà a unire tre Comuni che «sono praticamente la stessa città». «Si può creare un ente unico, senza che questo pregiudichi le rispettive identità», aggiunge.
Per Danilo Peric, ex sindacalista della Fim Cisl, la fusione «sta nella logica» di una messa a rete dei servizi e di un miglioramento dell'organizzazione. Per il resto non vede difficoltà, «se non personali, di difesa di rendite di posizione», perché «il retroterra culturale è unico».
L’idea di una migliore efficienza e di una possibilità di reinvestire i fondi risparmiati è comunque diffusa. Lo dicono anche Carmen Blasizza, che ci tiene a sottolineare di essere «monfalconese doc», e Christian Zuliani, che ricorda come il processo di fusione porti con sé anche dei benefici sotto forma di trasferimenti aggiuntivi dalla Regione.
Un fronte del “no” c’è comunque anche a Monfalcone. «Mi sembra la scelta migliore», afferma Alessandra Serafin, che abita e lavora in centro città. «A me pare che a perderci sia Monfalcone, no?», chiede Giovanni, 33 anni, che in città è arrivato dodici anni fa dalla Campania per lavorare nello stabilimento Fincantieri ed è stato poi raggiunto da moglie e figlia, mentre la secondogenita è nata nell’ospedale di San Polo. Senza nascondersi il sottofondo politico dell’iniziativa referendaria, che comunque sta creando non poche tensioni all’interno del Pd della Città comune, un’altra neomonfalconese, Tatiana Del Gaiso, pensa invece di votare a favore della fusione tra Monfalcone, Ronchi e Staranzano.
«Abito a Monfalcone da poco più di un mese - spiega -, da triestina trapiantata per oltre dieci anni in Friuli la trovo una bella città. Rispetto alla fusione approfitterò comunque di questi giorni per farmi un’idea più chiara». E poi c’è chi, in effetti, una decisione non l’ha ancora presa, come l’architetto Paola Barban, che, in fondo, si chiede se non sarebbe stato meglio far funzionare enti che già esistevano, dotati di un’organizzazione e del personale necessario, come le Province, invece di sostituirli con qualcosa, le Unioni territoriali intercomunali, che assomiglia tanto a un di più rispetto ai Comuni e che deve appena iniziare a darsi dei contenuti.
In generale i monfalconesi sembrano anche a conoscenza delle forti resistenze alla fusione esistenti soprattutto a Ronchi dei Legionari, ma questo non sembra un deterrente al voto. «Non capisco comunque il perché di tanta ostilità a un’idea così bella - sbotta Franco Fabris, che pure abita e lavora a Monfalcone, come commerciante -. Faccio parte del comitato promotore del referendum e dieci anni fa con un gruppo di amici abbiamo iniziato a lavorare per un progetto che può rilanciare quest’area, che ne ha bisogno. Per questo non capisco il perché di tanta ostilità».
L’incognita dell’astensionismo, comunque, alla fin fine non pesa più di tanto in una consultazione che non ha l’esigenza di raggiungere il quorum, ma che avrà invece un impatto sul futuro dell’area solo se i “sì” vinceranno in ciascuno dei tre Comuni coinvolti dal referendum.
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