Monfalcone, fugge e denuncia il marito: mamma e figli sotto protezione
MONFALCONE Con i due figli minorenni, martedì sera, ha cercato rifugio in via Sant’Anna. Si è fermata davanti al cancello della Compagnia dei carabinieri di Monfalcone e lì ha chiesto aiuto. Ai militari ha detto di non voler più vivere sotto lo stesso tetto con il marito, un connazionale, padre dei suoi bambini. La donna, ritenuta vittima di violenza domestica, ha trovato in questi giorni sistemazione con i suoi bambini in una residenza segreta e il centro antiviolenza sul territorio le sta fornendo assistenza e supporto psicologico nella primissima fase d’emergenza, come da protocollo avviene in simili casi. La Procura di Gorizia ne è stata informata dall’Arma, che ha avviato le indagini per inquadrare il contesto della “fuga” di martedì e verificare le dichiarazioni della mamma bengalese, giunta in caserma martedì prima delle 21, mentre una discreta fetta di televisori in città risultava sintonizzata sulla partita di Champions league della Juventus.
È questo solo l’ultimo dei casi segnalati a Monfalcone di violenza domestica. Significativo però di un’evoluzione positiva circa la diffusione delle informazioni sulla tutela delle vittime di maltrattamenti anche da parte di chi, come le donne migranti, può ignorare, pur vivendo sul territorio, l’esistenza di strumenti predisposti dalla legge in caso di violenza e in generale i diritti fondamentali assicurati a tutti, indipendentemente dalla regolarità sul territorio italiano, in materia per esempio di salute. «Un segnale importante che questa mamma straniera abbia saputo a chi chiedere aiuto – commenta Ermelina Calivà, responsabile del centro antiviolenza Da Donna a Donna –, indizio che la rete di supporto messa in campo inizia a essere conosciuta in città. Le forze dell’ordine, in questi casi, hanno infatti l’obbligo di contattare il più vicino centro antiviolenza presente sul territorio». Nel 2018 Da Donna a Donna ha accolto 219 donne, di cui 43 straniere. A prescindere dal caso specifico chi proviene da paesi extraeuropei può non essere alfabetizzata, istruita, capace di muoversi lungo i canali istituiti dalla legge.
Allo status di migrante, infatti, spesso corrisponde anche una condizione di vulnerabilità, culturale ed economica. Eppure è proprio in questi casi, quando cioè la persona straniera vive situazioni di difficoltà in famiglia, che «sempre più spesso i centri antiviolenza si stanno scontrando con i paletti posti sull’accesso alle forme di sostegno dell’assistenza sociale», afferma Calivà, con un vero e proprio grido d’allarme, partito a livello nazionale dalla rete di centri antiviolenza.
«Ormai – chiarisce – tutti i servizi risultano vincolati al territorio, con il requisito dei dieci anni di residenza per accedere al supporto dei Servizi sociali nelle prestazioni a domanda individuale, all’assegnazione di una casa dell’Ater o ancora al reddito di cittadinanza. Ma spesso queste donne maltrattate non sono in Italia da tutto quel tempo e oggettivamente diventa molto difficile aiutarle per un centro antiviolenza come il nostro, che vive di progetti annuali, non ha una stabilità e riceve risorse appena sufficienti a pagare personale e sede». Non c’è distinzione tra Comuni oppure ambito di Alto o Basso Isontino. La questione è trasversale.
«A una donna vittima di violenza, che spesso non ha disponibilità economiche sufficienti o un impiego, perché magari sta tirando su i figli – continua Calivà – viene chiesto perfino di compartecipare alle spese dell’alloggio protetto se ha un reddito appena superiore alla pensione minima. Un assurdo». «E non di rado – aggiunge – si trova perfino nell’incapacità di compilare un Isee, poiché ignora l’importo della busta paga del marito e dipende ancora da lui pur essendosene staccata». Capita infatti che alla violenza domestica si associno anche situazioni di privazione o limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia. «La sanità, almeno quella, per fortuna è sempre garantita nell’urgenza – spiega –, ma anche lì può succedere che una donna proveniente dalla Sicilia, con tessera sanitaria di quella Regione, debba cambiare medico per fruire dei servizi locali. Con il rischio che il marito, rivolgendosi allo sportello per sapere se la moglie è ancora assistita, scopra magari la nuova residenza segreta della donna sotto tutela. Dopotutto anche quello è un percorso tracciabile». –
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