Monfalcone, Fincantieri versa 18 milioni alle vittime dell'amianto

MONFALCONE Nei processi civili e penali che riguardano le malattie professionali, Fincantieri negli ultimi anni ha risarcito le parti offese per un importo pari a 18 milioni di euro.
L’ha sottolineato l’avvocato Corrado Pagano, chiudendo le arringhe delle difese nel terzo maxi processo amianto che si sta celebrando al Tribunale di Gorizia davanti al giudice Paolo Alessio Vernì.
La sottolineatura di Pagano è stata finalizzata a ribadire come Fincantieri non si sia mai sottratta alle sue responsabilità. La società compare tra gli imputati dei processi amianto in qualità, appunto, di responsabile civile in quanto “erede” di Italcantieri.
Alla Procura della Repubblica che ha chiesto per i dieci imputati superstiti (tutti ultra ottantenni) condanne per un totale di 80 anni di reclusione, Pagano ha replicato con la richiesta di assoluzione «nella formula che meglio riterrà il giudice».
Più che un’arringa nel merito delle posizioni della cinquantina di parti lese, quella di Pagano è stata soprattutto una sequenza di considerazioni di carattere giuridico e storico. Per quanto riguarda quest’ultima angolatura Pagano ha ricordato l’andamento processuale che si è registrato in Italia nei processi amianto negli ultimi vent’anni.
«Prima i processi si concludevano con l’assoluzione degli imputati - ha spiegato l’avvocato genovese, ormai di casa al Tribunale di Gorizia - . Poi abbiamo registrato un’inversione di tendenza con anni in cui gli esiti dei processi sono sempre stati avversi agli imputati. Negli ultimi tempi invece ecco aumentare le assoluzioni».
La tendenza è stata spiegata da Pagano con considerazioni tecniche.
«In processi come questi, che riguardano vicenda anche di quarant’anni fa, non è possibile stabilire con certezza gli elementi costitutivi del reato: rischio, colpa, condotta, causalità. Senza questi elementi il giudice non può emettere una sentenza di condanna».
Pagano, in sostanza, ritiene che non sia possibile accertare responsabilità precise a così lunga distanza. Ma soprattutto, confortato da recenti sentenze della Cassazione, Pagano ha ricordato che i dirigenti di una grande società, com’era Italcantieri, avevano il compito di organizzare il lavoro prevedendo vari livelli di responsabilità. Vigilare sull’utilizzo dell’amianto - in quegli anni consentito - spettava ai preposti, figure intermedie tra operai e dirigenti.
«L’amianto nel periodo preso in esame in questo processo - ha detto Pagano - era un materiale largamente utilizzato. Non era proibito. Inoltre, una sentenza deve poggiare su solide basi tecnico-scientifiche. Non esiste allo stato una tesi scientifica certa che stabilisca il nesso tra tempo dell’esposizione all’amianto e l’insorgere della malattia. I periti di parte che si sono confrontati in quest’aula hanno semplicemente proposto una loro teoria. Le teorie sono una cosa, la certezza scientifica un’altra».
Al giudice Alessio Vernì sono state poi consegnate dalle parti una montagna di memorie. Faldoni che il magistrato dovrebbe leggere entro lunedì 31 luglio, quando si terrà l’udienza per le eventuali repliche.
È molto probabile, se non certo, che la sentenza slitti a settembre.
A proposito della tendenza di alcuni tribunali di assolvere gli imputati per le morti d’amianto, vale la pena ricordare che in questo senso sono andate le ultime sentenza del Tribunale di Trieste dove erano imputati gli stessi ex dirigenti e direttori di Italcantieri imputati a Gorizia nel terzo processo e condannati sia nel primo che nel secondo processo, con sentenza del primo già confermata in Appello.
Piace sottolineare l’atteggiamento del giudice Alessio Vernì che dopo lo svolgimento di una quarantina di udienze in un processo di enorme difficoltà ha inteso ringraziare le parti per la collaborazione dimostrata.
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