Monfalcone dà l'addio a Daniela, la “regina” dei saloni di acconciature
MONFALCONE Daniela Sobani pensava che anche la più sciatta delle capigliature potesse trasformarsi in una piccola opera d’arte, restituendo al volto, integra, la sua luminosità. Per questo le donne di ogni età l’hanno amata come si ama chi sa donare bellezza. E di lei, che adolescente non aveva voluto continuare a studiare per imparare il mestiere, si può dire solo che era nata con un paio di forbici in mano, tale era l’abilità, la bravura, la perizia nel tagliare, rasare, puntellare anche i capelli più indisciplinati, riottosi al pettine.
È stato quindi trasversale, tra la smisurata clientela e gli ex colleghi, il dolore alla notizia che la “mamma” putativa di tanti acconciatori monfalconesi (e non) se n’è andata qualche giorno fa, in un letto del San Giovanni di Dio, dove era ricoverata da una settimana. Lascia il marito Franco Pirrottina, fondatore della scuola di parrucchieri a Ronchi dei Legionari, con cui oltre all’amore condivideva la passione per le acconciature, il figlio Davide, la nipote Agnese, il fratello Ivano, le amiche di una vita. Aveva compiuto 71 anni il 7 marzo. Il giorno dopo è spirata. La data dei funerali deve essere ancora definita.
Estrosa, fantasista, stravagante nella sua creatività di coiffeur quanto severa, disciplinata, attenta nella conduzione dell’azienda – l’ex salone Daniela di viale San Marco – la parrucchiera Sobani, ai tempi della carriera, era stata un vulcano di idee: la prima a proporre a Monfalcone il connubio tra capelli e moda come nelle grandi città, coronato dagli inediti, per l’epoca, defilé alla discoteca Valentinis e in piazza, antesignani di tante, analoghe iniziative replicate negli anni Duemila.
Direttore tecnico e artistico del Gaif (Gruppo accademico isontino acconciatori femminili), che trovava sede in via 25 Aprile, con il collega Alcide Bidut, già presidente degli artigiani, oggi 82enne, Daniela Sobani aveva girato mezz’Europa per mostrare come si tagliano i capelli in Italia. «Esportavamo un modello nazionale – ricorda Bidut, affranto dalla scomparsa della collega –. Mi viene il groppo in gola a pensare che non è più qui con noi. Una donna energica come poche, fantasiosa, instancabile. Assieme ad altre colleghe, anche Silva Toffoli, la mamma di Elisa, di cui è stata grande amica, era una grande animatrice, nonché bravissima artigiana». Della famosa cantante, peraltro, Daniela Sobani è stata madrina al battesimo e, poi, attenta fan, seguendola ai concerti. L’ultimo, portata dalle amiche in carrozzina, nel 2020 a Udine. Dieci anni fa la parrucchiera aveva affrontato con coraggio la malattia, sottoponendosi a delicato intervento. Da tempo combatteva, senza mai farsi sopraffare, gli strascichi.
«Una parrucchiera di cuore: a tanti ha insegnato il mestiere, quando non era affatto scontato farlo», prosegue il cavalier Bidut. In anni in cui non esistevano i tutorial e le parrucchiere si barricavano nello sgabuzzino a far la tinta per non farsi rubare i segreti del mestiere dagli apprendisti, la titolare del viale invece con pazienza insegnava alle sue ragazze come si fa un carré, che oggi chiamiamo bob, una permanente salda, una frangia senza scalini. Sapeva cesellare con lacca e phone. Negli anni ’80, poi. Quando le acconciature, come grattacieli, sfidavano la gravità con ciuffi parabolici.
«Per me è come se fosse mancata una sorella – racconta Roberta Zanolla, per cinque anni sua dipendente e poi amica di una vita –. Vulcanica, eclettica, appassionata, imprevedibile: non si poteva non volerle bene. Con le amiche, poi, sempre splendida. Ricordo i pranzi nella sua grande casa di Ronchi, l’allegria, la forza d’animo». Nel lavoro, racconta, «era pignola, esigente anche con le dipendenti che però, quando venivano fuori dalla sua “scuola”, avevano davvero imparato i fondamenti». «Ci teneva alla pulizia del salone e al rispetto della clientela sotto ogni aspetto», sempre l’amica Roberta, che non riesce a trattenere le lacrime. «È stata una donna che ha saputo vivere – conclude –. Amava i viaggi e anche i libri, infatti ne aveva scritto uno un paio d’anni fa». S’intitola “Scarpe rosse”, lo aveva presentato alla Ubik. La dedica, dell’autrice, “A tutte le persone che sono cadute, rialzate e ricominciano a lottare per i loro ideali». Chissà quante ne aveva viste, di donne così, nel microcosmo del suo salone. Chissà a quante aveva restituito, con un colpo di forbice e spazzola, la bellezza. —
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