Monfalcone, centro culturale islamico entro dicembre. Atteso il verdetto del Consiglio di Stato

Il presidente Haq: «Operiamo per l’integrazione». Il Comune ha impugnato la sentenza del Tar
Il cantiere del nuovo centro culturale islamico Baitus Salat visibile da via Primo maggio
Il cantiere del nuovo centro culturale islamico Baitus Salat visibile da via Primo maggio

Un’opportunità, «non una provocazione». Una “casa” per promuovere l’integrazione, diffondere il decalogo voluto dal Comune, soprattutto iniziare donne e bambini all’apprendimento dell’italiano e, per chi invece già mastica la lingua dello Stivale, l’arabo. Questo, agli occhi di Rejaul Haq, rappresenta l’involucro di mattoni e finestre al civico 103 di via Primo maggio, l’ex Hardi. Un vecchio discount dismesso nel 2010 e sette anni dopo, il 22 giugno, passato nelle mani dell’associazione Baitus Salat.

Poco prima del lockdown i lavori condotti da una ditta gradese e successivi alle note battaglie con l’ente, vinte al Tar dal sodalizio e ora in attesa di sentenza definitiva al Consiglio di Stato, erano ufficialmente partiti. Il concomitante coronavirus aveva congelato le attività nel settore edile. Comprese quelle relative al nuovo centro culturale di Aris San Polo. Ma l’intervento di restyling è ora ripreso di buona lena, basta passare in via Primo maggio per rendersene conto e così, secondo il presidente Haq, è facile immaginare che ci vorranno ancora due mesi circa per l’inaugurazione. Entro fine anno il cantiere sarà chiuso. E sarà festa. «Un’inaugurazione alla quale inviteremo tutte le autorità sul territorio – spiega –: forze dell’ordine, amministratori, sindaco. A noi farebbe piacere venisse, poi lei agirà come riterrà. Per noi non c’è mai stato alcun intento provocatorio». Nessuna acredine, insomma. La comunità è pronta, a detta di Rejaul Haq, a lasciarsi tutto alle spalle. Ricorsi, parole.

La svolta, in questa vicenda che si trascina ormai da parecchio tempo, quasi un anno fa, quando a ottobre il Tar aveva accolto il ricorso di Baitus Salat, che a sua volta, quindici mesi prima, aveva impugnato il blocco dei lavori disposto dal Comune di Monfalcone (amministrato da sindaco leghista) nel maggio 2018, decretando di fatto lo stop al recupero del fabbricato: un deposito di piastrelle costruito nel 1964, poi convertito in supermercato. I giudici amministrativi avevano anche condannato l’ente a rifondere all’associazione le spese di lite, quantificate in 2 mila euro, oltre agli oneri di legge e, sempre a sentenza passata in giudicato, il contributo unificato, sorta di tassazione statale da versare al momento in cui si intraprende una causa. L’amministrazione, a sua volta, aveva però preannunciato impugnazione del verdetto davanti al Consiglio di Stato, attraverso il legale che segue la vicenda, Teresa Billiani. Cosa, pare, puntualmente avvenuta, tant’è che il Baitus Salat conferma l’attesa del verdetto entro metà mese. «Non vogliamo provocare nessuno, ma esercitare un nostro diritto», dice Haq. Per il Comune invece «dopo una serie di consulti legali è maturata la convinzione di procedere con l’impugnazione, intravedendo dei margini di successo sulla base di considerazioni prettamente urbanistiche», spiega il sindaco Anna Cisint. Che comunque avrebbe «gestito diversamente questa partita se all’origine ci fosse stata l’attuale amministrazione».

Ma come sarà il nuovo centro? «Sicuramente non sarà una moschea – replica Haq –, bensì un luogo dove fare integrazione: questo è l’obiettivo primario. Dunque un luogo che promuove corsi di italiano e arabo, per bambini e adulti, sia uomini sia donne. Con un info point per erogare le informazioni del Comune, come il decalogo consegnatoci da Cisint, e dello Stato, cosa che già facciamo adesso nella sede di via don Fain. Locali che lasceremo per traslocare in via Primo maggio, così alleggerendo la “pressione” della presenza di bengalesi in centro, un aspetto che spesso viene sottolineato dall’amministrazione».

In particolare la comunità asiatica, ci tiene a sottolinearlo Haq, ha cercato di fare il possibile per contrastare il coronavirus, non solo con spontanee donazioni consegnate alle istituzioni (duemila euro raccolti durante il lockdown) o spingendo il più possibile i connazionali a sottoporsi alla campagna di tamponi al rientro dalla madrepatria (trecento aderenti), ma anche, banalmente, osservando le misure anti virus, in primis la mascherina. «Le forze dell’ordine – ricorda Haq – hanno riconosciuto che siamo stati i più bravi nell’adottare i dispositivi». «La nuova sede – conclude il presidente del Baitus Salat – potrà servire anche alle collette, per aiutare i familiari di connazionali a coprire le spese di trasporto aereo delle salme di donne e uomini in Bangladesh, nel caso di decessi. Una cosa che non è potuta avvenire durante il lockdown, infatti un paio di persone sono state sepolte in cimitero a Monfalcone». —

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