Monfalcone “blinda” i preti anziani

Tutti in convento e messa web. Il parroco: «Benedico i defunti, se mi ammalo lo farà qualcun altro»

MONFALCONE Molto si parla, in questo periodo di quarantena e spostamenti contingentati, di come trascorrere il tempo da “reclusi” (giustamente) in casa, nell’intento comune di arginare il virus coronato. C’è chi cura il corpo, e si dà a yoga o fitness on-line, e chi invece coltiva lo spirito. Unendosi in preghiera solitaria o virtualmente connessa alle messe in duomo, ogni domenica alle 11, via streaming.

Così, sempre ricorrendo ai mezzi informatici, mercoledì, è partita anche la supplica del decano don Paolo Zuttion alla Madonna della salute, protettrice della città del cantiere, cui secoli prima i monfalconesi devoti si erano già rivolti per debellare la peste, rea di seminare «morte e disperazione». Lo ha ricordato, in un video su Youtube che ha raccolto quasi mezzo migliaio di visualizzazioni, lo stesso parroco del duomo don Flavio Zanetti. Un messaggio ai fedeli disorientati dalla «nuova peste che ci colpisce: il coronavirus».

Sì, perché anche la vita ai tempi del Covid-19 dei 14 sacerdoti, tra Monfalcone e Staranzano, e di tutti i parrocchiani è cambiata. Matrimoni e battesimi rinviati, funerali ai minimi termini. Luoghi di culto romiti, navate vuote alle funzioni, ma chiese aperte almeno alle preghiere solinghe. E la mensa della Caritas riconvertita a individuale consegna di pasti caldi (confezionati) da consumare però altrove, completi di tutto punto: primo, secondo, contorno e pane. Non manca nulla. Al dormitorio della Marcelliana si pernotta invece h 24, perché la consegna di restare a casa, diventata un hashtag, vale anche per i senza fissa dimora. Mentre all’Emporio della solidarietà di viale Verdi si accede solo su appuntamento, per evitare affollamenti.

La buona novella è che «tutti i sacerdoti e frati, tra cui ci sono anche diverse persone anziane, sull’ottantina e con bypass, godono di salute». A ognuna di queste viene raccomandato di stare chiusa in casa o nel convento, in tranquillità. Al momento è soprattutto don Flavio a officiare i riti di commiato del caro estinto. «Così, se per caso io mi ammalo – spiega –, c’è qualcun altro che mi può sostituire». Si limitano gli spostamenti degli altri ministri di Dio, così da preservarli in salute, insomma, per mutuare un gergo militaresco, mantenerli «abili e arruolati» per la missione. I funerali sono sempre un momento di pena, «però rispetto ad altri territori dove non è possibile neppure svolgere la benedizione, che noi qui riusciamo comunque a impartire, questo saluto costituisce sempre una consolazione», dice il sacerdote. In giorni complessi per tutti ci sia dunque «lo stimolo a guardare l’esempio di chi, nella paura, ha reagito donando la vita: le nostre esistenze sono sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate, e da tante altre che hanno compreso che nessuno si salva da solo».

Diverse modalità anche per la mensa rivolta ai poveri di via Mazzini, all’oratorio San Michele, il cui servizio erogato da volontari Caritas viene però mantenuto a beneficio di tutti. Erano 36 al pranzo di venerdì. «Abbiamo attivato – spiega don Flavio – una convenzione con la Serenissima (ditta che offre ristorazione aziendale, anche alla centrale, ndr) e ci fa arrivare i pasti caldi. Ogni persona riceve una borsa». A malincuore il pranzo insieme non può più svolgersi per la materiale impossibilità di osservare distanze minime. La struttura viene gestita con fondi diocesani e parrocchiali. Il sacerdote spiega inoltre che in questo periodo dei fornai locali (Tamburin e Bosio) cui avanza il pane lo donano alla mensa. Se in eccedenza va alla Caritas di Gorizia, che pure offre egual servizio.

Chi invece deve restare a “casa”, cioè nel dormitorio di Panzano, è il quartetto di persone ora ospitate, che anziché star lì solo per il riposo necessario deve giocoforza rimanervi h 24. «E bisogna insistere e spiegare che non è una “prigione”, ma una misura adottata da tutti gli italiani...», spiega il parroco. Si tratta infatti di persone, del territorio e straniere, senza fissa dimora o con problemi di disagio di varia natura alle spalle, non abituate –non tutte almeno – a stare confinate tra le quattro mura, anche per scelte di vita. —

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