Monfalcone, arresti domiciliari per Bon ma non torna a Marina Julia
MONFALCONE Senza più il porto d’armi e agli arresti domiciliari nella casa di un’ex allieva in via Filzi a Trieste. Ieri mattina Leopoldo Bon, 66 anni, l’ex professore universitario salito alla ribalta della cronaca per aver esploso quattro colpi con la sua Walter calibro 7.65 dal terrazzo della casa di Marina Julia perché infastidito da un gruppo di ragazzi, ha lasciato il carcere del Coroneo.
«Si tratta - si legge nell’istanza dei difensori Roberto Mantello e Maurizio Rizzatto - di un atto grave, inammissibile. Ma è indubbio che il gesto sia plateale, apertamente dimostrativo e perciò dettato da questo unico fine».
A dare il via libera è stato il Tribunale del riesame (presidente Filippo Gulotta, giudici Massimo Tomassini e Marco Casavecchia, quest’ultimo relatore) che ha revocato in parte l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip goriziano Sabrina Cicero su richiesta del pm Laura Collini e ha, di conseguenza, accolto alcuni elementi dell’istanza da parte dei difensori.
Che hanno sempre sostenuto la «non pericolosità» del loro assistito e hanno escluso, nella maniera più assoluta l’ipotesi di una reiterazione del reato. Anche perché non solo le armi di cui Bon era un collezionista sono state sequestrate (era regolarmente in possesso della licenza per uso sportivo) ma anche perché dopo i fatti gli è stato, come detto, revocato il porto d’armi da parte della questura di Gorizia.
Leopoldo Bon era stato arrestato sabato 24 settembre dai carabinieri di Monfalcone con l’accusa pesantissima di tentato omicidio «sorretto - come poi hanno indicato i giudici - da dolo alternativo». I difensori hanno sottolineato una serie di aspetti che poi sono stati ritenuti determinanti dal collegio.
Si tratta dell’«evidente ridimensionamento dell’imputazione» dal quale emerge «la circostanza che possa invocarsi un autentico ed obiettivo dubbio circa l’univocità della condotta realizzata». Semmai, rilevano i difensori nell’istanza, sussistono «ipotesi di uso improprio e vietato dell’arma detenuta o addirittura di violazione contravvenzionale che portano addirittura ad escludere la sussistenza di esigenze cautelari in vista del futuro processo».
Sempre per i difensori è poi «del tutto evidente che l’indagato potrà fruire della sospensione condizionale della pena, apparendo perciò la misura applicata (del carcere, ndr) del tutto eccessiva, se non abnorme».
In effetti, scrivono Mantello e Rizzatto, «il quadro indiziario appare quindi fortemente ridimensionato». E aggiungono: «Nessun ulteriore elemento obiettivo rivela che i colpi fossero stati esplosi verso il giovane, (Patrick Tudorel, ndr) nonostante le ricerche e gli accertamenti effettuati dai militari.
Per contro i rilievi effettuati sull’asfalto ipotizzano che il proiettile abbia colpito l’asfalto, risultando anzi che materiale bituminoso si è distaccato in più punti, come solitamente avviene per la naturale usura». Insomma, solo un presunto deprecabile gesto di rabbia piuttosto che un’azione precisa e determinata.
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